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Solo Riformisti

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Quale politica per il PD?

Per chi guarda all’Europa il PD deve essere il perno di un’alleanza per il Governo. Allo stato, auspice Franceschini, è in atto il tentativo di “romanizzare i barbari”, leggi 5S. Ma questa non è l’unica possibilità, sempre che il PD voglia e possa.

8 Luglio 2020 da Pietro Ichino Lascia un commento

Cerco di rispondere alla domanda che Alessandro Maran ci ha posto sul Foglio: “c’è un modo diverso dall’alleanza del Pd con il M5S per ancorare l’Italia all’Europa e tenere la barra dritta sulla rotta atlantica?”. Domanda che fa seguito a un’altra implicita: “Come si fa a mantenere credibilmente l’Italia nella UE alleandosi a un partito come il M5S, nel quale l’euroscetticismo costituisce ancora un tratto dominante?”.

La risposta a entrambe le domande potrebbe essere: “Sì, un modo diverso ci sarebbe: occorrerebbe che il Pd avesse la lucidità e la coerenza necessarie per denunciare al Paese i costi immediati e i rischi gravi della linea attuale del Governo nei confronti dell’UE, euroscettica nei toni e nella sostanza, nonostante l’abbandono degli slogan salviniani; e per affermare con forza la necessità di fare, al contrario, dell’Italia una protagonista del rilancio e dell’accelerazione del processo di integrazione europea. Che quindi il Pd avesse il coraggio di presentarsi subito al Paese, e domani alle elezioni politiche, come il punto di riferimento principale di uno schieramento incisivamente europeista”.

Il primo corollario di una scelta come questa sarebbe che il M5S ne verrebbe sfidato a sciogliere le proprie gravissime ambiguità sulla questione fondamentale.  Secondo corollario non meno importante: il porre esplicitamente e con forza al centro della politica nazionale la partecipazione del Paese al processo di integrazione europea costringerebbe Forza Italia a prendere nettamente le distanze dai suoi attuali ingombranti e imbarazzanti alleati, i quali del sovranismo fanno invece la loro bandiera. Terzo corollario: diventerebbe possibile una sorta di federazione tra il Pd e i tre partiti minori liberal-democratici – Italia Viva, +Europa e Azione –, che diventerebbe il primo polo della politica nazionale, quanto meno sul piano qualitativo.

Ma si può chiedere questo a un Pd che oggi non sembra in grado di esprimere una linea propria neppure in tema di scuola, di politica industriale, di politica del lavoro e di efficientamento delle amministrazioni pubbliche?

 

Tra i molti effetti sconvolgenti della pandemia va annoverato l’approfondirsi del solco che divide l’Italia non garantita dall’Italia cui tutto è comunque dovuto. La prima è quella del tessuto produttivo privato, dove i lavoratori vengono sospesi dal lavoro perdendo parte della retribuzione e rischiano di perdere anche il posto; quella che dopo il lockdown si arrabatta per riaprire tra mille difficoltà e rischi. La seconda è quella del settore pubblico e para-pubblico, dove gli stipendi corrono qualsiasi cosa accada, senza neppure una increspatura, e dove vige il dogma dell’intangibilità del posto. A parte lo smart work – benedetto esso sia, dovunque abbia potuto essere effettivamente svolto – la prima Italia si è rimessa in moto all’inizio di maggio, sia pur faticosamente; la seconda ha incominciato a parlarne soltanto due mesi dopo, per concludere che è meglio riparlarne ad autunno e magari anche dopo. Nel frattempo i ritardi della burocrazia, della macchina tributaria e dell’amministrazione giudiziaria aumentano vertiginosamente, rendendo ancor più difficile la già difficilissima ripresa economica.

Ora, un partito che ambisce a essere il primo difensore della democrazia e della giustizia sociale, oltre che un promotore dello sviluppo economico del Paese, dovrebbe evidentemente affrontare questo problema e proporsi di indicare le vie per colmare il solco, ricucire la gravissima lacerazione. Invece che fa il Pd? Tace; e, se è proprio costretto a parlare, nega il problema con frasi gesuitiche del tipo: “Non si devono criminalizzare i dipendenti pubblici” (ma chi mai li vuole criminalizzare?). Oppure: “I medici, gli infermieri e i poliziotti sono sempre stati in prima linea” (e chi mai lo ha negato?). Non si rende conto, il Pd, che così facendo si trasforma – agli occhi della prima Italia – nel “partito dei dipendenti pubblici”, pur non riuscendo neppure a esserlo fino in fondo. Ed eludendo il problema finisce con lo spalancare, sul versante dei non garantiti, praterie sconfinate alla destra.

 

(l’articolo in questione, con il consenso dell’autore, è stato ripreso dal blog pietroichino.it e riporta due diversi articoli sul PD)

 

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