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Solo Riformisti

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Per un nuovo miracolo economico

Il mondo dopo il coronavirus sarà diverso. All’Italia serve un nuovo miracolo economico che dovrà poggiare sul rifiuto del protezionismo, sul rilancio dell’Europa, sull’approvazione del MES e sulla semplificazione burocratica

17 Marzo 2020 da Luciano Pallini Lascia un commento

L’impatto della epidemia da coronavirus cambierà in profondo la realtà che ci circonda e sarà difficile riconoscere il mondo di ieri, fatto di certezze, di riti e miti, in quello che verrà e nel quale ci troveremo a navigare: sarà sicuramente materia per riflessioni approfondite di studiosi delle diverse discipline, di associazioni ed organizzazioni che strutturano la nostra società, dei leader politici.

Nel frattempo  alcuni coraggiosi hanno tentato di stimare l’impatto sull’economia italiana, ipotizzando diversi scenari: in un recente contributo[1]  è stato calcolato, nello scenario peggiore,  che il PIL si ridurrebbe del 3,7% con una perdita secca di 66 miliardi di euro,  con la spesa per i consumi che scenderebbe di 48 miliardi (-6,0%) ed una conseguente contrazione degli investimenti di 15,4 miliardi (-4,8% ) e delle vendite all’estero di -17 miliardi (-3,0%) per un  vuoto di domanda da colmare di 81 miliardi di euro. Resta il  timore è che a consuntivo il calo risulti ben superiore.

La convinzione diffusa che attende l’Italia è quella di una vera e propria rifondazione dell’economia che non potrà realizzarsi soltanto con l’immissione di risorse (quelle che ci sono, se ci sono) per colmare  il vuoto di domanda ma anche con la rimozione di quei nodi strutturali che da vent’anni hanno bloccato l’incremento della produttività e la crescita dell’economia italiana.

Serve un nuovo miracolo economico italiano. Quello che conosciamo arrivò perché c’erano alcune condizioni che troppo spesso si dimenticano quando se ne parla e che non si esauriscono nel Piano Marshall,  invocato come strumento per risolvere oggi  tutti i mali del mondo  attraverso massicci programmi di aiuti.

Il Piano Marshall ed i fattori del miracolo economico italiano

 Il Piano Marshall  (European Recovery Program)  prevedeva  sia stanziamenti per l’Europa  (più di 14 miliardi di dollari) sia un deciso sostegno ad una prima integrazione economica nel Continente (contestualmente al Programma nacque anche l’Organization for European Economic Cooperation) per  spingere gli europei ad utilizzare gli aiuti non solo  per fronteggiare le contingenze del momento, ma anche e soprattutto  per avviare un processo di trasformazione strutturale delle loro economie, nel contesto politico segnato dalla Cortina di ferro che divideva l’Europa da Stettino a Trieste.

L’interdipendenza, era il messaggio, poteva costituire una soluzione alle tensioni ed ai conflitti, che da sempre avevano caratterizzato la storia europea.

Nei fatti, la quasi totalità dei Paesi beneficiari utilizzò  i finanziamenti forniti dall’ERP per l’acquisto di generi di prima necessità, prodotti industriali, combustibile e, solo in minima parte, macchinari e mezzi di produzione: il messaggio era chiaro ed inequivocabile, sopravvivere ed in questo l’apporto del Piano risultò di fondamentale importanza, consentendo ai diversi paesi europei  di allentare le politiche di austerità e di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni; con impatto anche sulla politica nazionale, basti ricordare i risvolti del viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti agli inizi del 1947. [2]

In quegli anni con l’apporto decisivo di Luigi Einaudi e Donato Menichella venne conseguita la stabilizzazione monetaria abbattendo l’inflazione e garantita una sostanziale parità del cambio lira dollaro che dal 1948 rimase sostanzialmente  inalterato fino al 1971 quando Nixon decretò la fine della  convertibilità del dollaro in oro.

In Italia poi, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi europei, l’industria non era stata particolarmente danneggiata, infatti i danni di guerra ammontavano all’8% del capitale esistente rispetto al 1938.

Erano così assicurate le condizioni per  il “miracolo economico” italiano che colse tutti di sorpresa e nel quale concorsero[3] sia fattori endogeni  (l’ampliamento del mercato nazionale, la moderazione salariale,  gli incrementi di produttività e gli investimenti pubblici) sia stimoli esterni  (l’apertura ai mercati esteri e la crescita del commercio internazionale)

Un contributo fondamentale venne poi nel 1957  dalla  nascita del Mercato Comune Europeo.

Il bilancio dello stato era sostanzialmente sano ed il debito pubblico dal 1952 al 1971 non superò mai il 42% del rapporto debito/PIL.: altri tempi.

Ci sono le condizioni per un nuovo miracolo economico italiano?

Per azzardare una risposta occorre essere consapevoli che è radicalmente mutato il contesto economico segnato dalla globalizzazione: nella crisi da coronavirus  si sono rotte lunghissime catene di fornitura,  i tradizionali mercati di sbocco appaiono ostruiti da ostacoli  all’esportazione che tradiscono pulsioni protezionistiche, cui in Italia si aggiunge   un debito pubblico che arriverà al 140% del PIL , con conseguenti   tensioni fortissime sui mercati finanziari come certifica lo spread fra BTP e Bund tedeschi salito in questi giorni ad oltre 270 punti base.

L’Italia dispone tuttavia delle risorse base:  un capitale umano dalle altissime competenze , con  costi del lavoro ormai inferiori  a quelli dei nostri maggiori concorrenti europei  e con  una flessibilità comunque accresciuta, un sistema di imprese che sono in grado ci competere sui mercati internazionali  come dimostra  l’attivo della bilancia commerciale.

Questi fattori della produzione, lavoro e capitale, devono essere messi in grado di operare realizzando gli indispensabili incrementi di produttività, attraverso il soddisfacimento di alcune condizioni fondamentali:

  1. La prima condizione per un nuovo miracolo italiano sta nel rifiuto netto e deciso delle chiusure protezionistiche, della “autarchia della miseria”: la globalizzazione non è finita, come ha scritto Romano Prodi [4],  “.. perché sarebbe finito anche il nostro benessere. Credo però che avrà caratteristiche molto diverse. Le imprese non potranno più dipendere da forniture o da prodotti che provengono da un solo Paese o, in modo prevalente, da paesi troppo lontani da noi. Una maggiore divisione del rischio diverrà il comportamento comune di tutti gli operatori economici. Se ne stanno accorgendo non solo le multinazionali Usa, ma anche molti operatori europei che stanno progettando un seppur parziale reshoring (ritorno a casa) delle attività”.
  2. La seconda condizione è una decisa ed inequivocabile conferma della vocazione europeista  dell’Italia, paese  fondatore dell’Europa che non deve rinunciare ad   essere protagonista del suo rinnovamento: l’attuale grave crisi da pandemia che colpisce  tutti i paesi europei  deve rappresentare l’occasione per ripensarla  così come scriveva Yves Meny[5] “Il federalismo europeo è ricco di potenzialità, carico di tensioni secolari ma abbastanza elastico e flessibile da offrire soluzioni alle sfide inestricabili della costruzione europea. Tuttavia, bisogna esserne consapevoli, è grande il rischio che tale evoluzione possa realizzarsi soltanto sotto la pressione di una minaccia seria e diretta. Per quanto ne so, la gran parte degli stati federali sono nati nel dolore”

L’Italia potrà occupare un  ruolo centrale e dare  un contributo positivo per rinnovare la costruzione europea solo se dismette sia  il “complesso di Calimero”, il vittimismo per cui tutti complottano contro il nostro paese dimenticando che  in stati federali anche di lunga storia  vige la regola della cooperazione/competizione sia se prende atto che a livello europeo la visione federalistica (che in Italia è spesso solo retorica) è moneta che non ha corso e quindi occorre lavorare con tenacia a costruire un nuovo modello di Europa possibile, all’insegna dell’unità nella diversità.

  1. L’Italia in Europa soffre di scarsa affidabilità soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità del debito pubblico da cui discendo i timori della nostra permanenza  nell’area dell’euro: le recenti tensioni dicono che l’aumento del deficit ed il ricorso all’indebitamento per finanziare le sacrosante misure per combattere le conseguenze della pandemia, sia tra la popolazione che nell’economia,  non troveranno ostacoli tanto nella Commissione europea quanto  nel giudizio dei mercati finanziari.

Può essere questo il momento per “ …. un salto di solidarietà che, piaccia o no, passa solo attraverso l’istituzione degli Eurobonds. Quest’obiettivo appariva necessario fin da quando è nato l’euro: oggi non è più rinviabile. Gli Eurobonds sono il segno strutturale della solidarietà e, in pari tempo, l’avvio della politica economica e della fiscalità a livello europeo che ancora mancano” [6]?

L’affidabilità del paese passa, è inutile girarci intorno, dalla approvazione della riforma del MES che  rappresenta comunque un importante esercizio di solidarietà europea, soprattutto per  i paesi più indebitati. Se il MES non ci fosse ed i mercati giudicassero insostenibile il debito italiano costringerebbero, di fatto, a ristrutturarlo in modo traumatico e disordinato per la mancanza di un arbitro pubblico (e potenziale finanziatore) come il MES, con conseguenti rischi   di fuoriuscita dall’euro.

  1. Ma per quanto siano consistenti le risorse (effettive)  che l’Italia immetta nella sua economia sia per sostenere gli investimenti delle imprese che gli investimenti pubblici – ad esempio tramite il tanto invocato  Green New Deal –  resta una ulteriore  condizione imprescindibile da soddisfare: sciogliere l’inestricabile groviglio del sistema burocratico e della giustizia, nel quale affonda qualsiasi progetto, sia di un nuovo insediamento industriale che di opere pubbliche e che scoraggia anche gli investimenti esteri nel nostro paese:

Accanto e forse prima della moratoria delle tasse e dei mutui, servirebbe una sospensione di tutti questi vincoli, nell’attesa che in tempi brevissimi “… il governo prepari un progetto con tutte le regole e gli incentivi necessari per cambiare il corso delle cose. Lo faccia subito, organizzando un ristretto gruppo di specialisti che cominci a operare immediatamente, iniziando fin d’ora per via telematica. Questo è il cammino che l’Italia deve percorrere e questo è il messaggio da inviare al mondo”[7]

Per esser chiari, il miracolo economico italiano si realizzò perché gli animal spirits degli imprenditori furono liberi di realizzare i propri progetti liberi dai lacci e laccioli che successivamente sono stati introdotti così come le opere pubbliche furono realizzate con grande speditezza ed in tempi lunari nella realtà odierna.

Per realizzare queste condizioni Governo e Parlamento possono lavorare anche in questi tempi bui, trasformando la crisi in una opportunità: se prevarranno invece le spinte alla chiusura dell’economia, gli atteggiamenti ambigui sull’Europa, il rifiuto di garantire il proprio debito, il mantenimento di vincoli e di inefficienze burocratiche e lentezza della giustizia il finale non può essere che  TRISTE, SOLITARIO Y FINAL

[1]  Giuseppe Russo “La recessione da corona virus – Ipotesi numeriche” Centro Einaudi. Lettera economica 10 marzo 2020

[2] Dino Messina “Il viaggio di De Gasperi che cambiò per sempre la politica italiana” Corriere della Sera 3 gennaio 2017

[3] Valerio Castronovo “L’Italia del miracolo economico ” Bari 2010

[4] Romano Prodi “Dopo il caso Lagarde/ La cura giusta tra Eurobond e sblocco delle imprese” 15 marzo 2020

[5]Yves Meny L’Unione Europea e il federalismo, www.soloriformisti.it

[6] Romano Proci, cit.

[7] Romano Prodi, cit.

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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