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Solo Riformisti

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Liberazione, non solo Resistenza

Il 25 aprile noi celebriamo non la Liberazione, ma solo una delle sue componenti: la Resistenza. Ma anche così la festa ha, per l’Italia, un’importanza fondamentale.

30 Aprile 2019 da Ugo Finetti 1 commento

Per la prima volta quest’anno il 25 aprile sarà celebrato con un governo in cui nessun partito si richiama alla Resistenza. Più che scandalizzarsi o reagire strumentalmente a fini elettoralistici è da interrogarsi sulle ragioni che vedono la maggioranza degli italiani sostenere forze politiche il cui modo di intendere la democrazia è una soluzione di continuità con tutte le tradizioni e componenti dell’antifascismo.

Come sfondo c’è una generale disaffezione alla democrazia che è andata diffondendosi in Occidente nel clima della globalizzazione economica. La democrazia – le regole, il pluralismo, la collegialità, i controlli – è sempre più vissuta come un handicap nella competitività, nel “braccio di ferro” tra economie. La Cina irrompe sui mercati muovendosi con forza, determinazione e – soprattutto – rapidità di decisione governativo-aziendale e intervento territoriale come “un solo uomo”. Russia e paesi “emergenti” attaccano le economie occidentali sotto la guida di governi con “menodemocrazia”, ma “piùmani libere”.

Dai paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, si reagisce con richiesta di nazionalismo, sovranismo, leadership forti e sbrigative. Chi doveva rappresentare antitesi e antidoto ha dimostrato confusione e impotenza a cominciare dall’Unione europea che – archiviato ogni progetto di Costituzione con valori e di integrazione con “patriottismo” geopolitico – proprio negli anni in cui le collettività nazionali vivevano crisi economica e sociale si è spoliticizzata e ha assunto i panni di una commissione di controllo tecnico senza ideali e proposte di rinnovamento.

In questo quadro di generale spostamento a destra anche da sinistra in Italia ci si è molto allontanati dagli ideali che avevano animato l’Assemblea costituente. Oggi gli stessi tutori della Costituzione – dal Quirinale alla Corte Costituzionale – recitano una fedeltà alla Costituzione antifascista su un palcoscenico di cartapesta. Introduzione di sistema maggioritario, leadership carismatiche di partito e di governo, uso incostituzionale della carcerazione preventiva per far “confessare”, nascita della legislazione retroattiva sono tutti colpi dati alle basi stesse della Costituzione. Si è legittimato ciò che per la Carta – come sottolineano i suoi “Commentari” da Calamandrei a Branca – sono negazione dell’architettura costituzionale italiana e simbolo di autoritarismo.

A logorare la celebrazione del 25 aprile è stata soprattutto nei decenni passati la manipolazione della verità storica con la cancellazione della realtà e del pluralismo della Resistenza. Basti pensare all’apporto dei militari, al caso di Cefalonia tratta dall’oblio con Pertini negli anni ‘70, ma che ancora negli anni ‘90 i testi considerati più innovativi come “Una guerra civile” di Claudio Pavone insistevano nell’ignorare. Ancora oggi a Milano si nasconde che protagonista della Liberazione è stata la Guardia di Finanza su mandato del Cln dell’Alta Italia.

La Resistenza è stata allontanata dalla collettività nazionale nel momento in cui la si è sequestrata e strumentalizzata con unilateralità partitica fino a lasciarla usare come legittimazione dell’estremismo e della violenza.

Certo nel celebrare la Liberazione siamo ancora ben lontani dal modo in cui anche il pur sciovinista De Gaulle – che era uscito dalla Nato cacciando gli americani dalla base vicino a Parigi e che metteva il veto all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato Comune – celebrava la Liberazione della Francia facendo sfilare con le loro bandiere, americana e inglese, soldati sugli Champs Elysées  e navi al largo del Porto di Marsiglia. Siamo cioè ben lontani dall’impegno preso nel 1945 da Palmiro Togliatti che, in dicembre al congresso ricostituivo del Pci, prometteva: «Ricorderemo in eterno i soldati e gli ufficiali inglesi, degli Stati Uniti, della Francia, dell’Africa del Sud, dell’Australia, del Brasile, i quali hanno lasciato la loro vita o versato il sangue loro per la liberazione del suolo della nostra patria». Noi infatti il 25 aprile celebriamo in realtà non la Liberazione, ma solo una delle sue componenti: la Resistenza.

Eppure la Resistenza dovrebbe essere ricordata dall’unità nazionale in segno di generale gratitudine. Almeno per tre ragioni fondamentali.

E’ grazie alla Resistenza che l’Italia non è stata trattata come la Germania: la nostra sovranità nazionale è stata rispettata, i nostri confini – nonostante la sconfitta in una guerra dichiarata da Vittorio Emanuele III che era re ancora nel 1946 – sono stati poco ritoccati, il capo del comando unificato delle brigate partigiane, il generale Cadorna, è stato il primo capo di Stato maggiore dell’Italia liberata e il suo vicecomandante, Ferruccio Parri, è diventato capo del Governo, gli Alleati hanno dato piena fiducia alla nuova classe dirigente espressa dal Cln e si sono ritirati rispettando la nostra autodeterminazione che includeva anche l’ipotesi di un’adesione allo stalinismo.

In secondo luogo è l’“Italia della Resistenza” che ha disegnato la Carta costituzionale la cui elaborazione e redazione furono il frutto di entusiasmo, convinzione e compromesso tra le componenti che – inizialmente unite nel giugno del 1946 e poi aspramente divise nel gennaio del 1948 – l’hanno insieme scritta e approvata. Si tratta di un testo da non ritenere demagogicamente intoccabile nella stessa prima parte, ma che ha rappresentato e rappresenta tuttora l’identità di una democrazia liberale, pluralista e occidentale con forte caratterizzazione dei valori di tutela sociale.

In terzo luogo – piaccia o meno – l’”Italia della Resistenza” ha fatto sì che vi sia stata la forma più lieve di “guerra fredda”. Al di là del vittimismo aggressivo dei comunisti e dell’estrema sinistra, in realtà in Italia la “guerra fredda” è durata solo fino al 1953. Morto Stalin, finita la guerra di Corea, sconfitto Alcide De Gasperi, la Dc nel 1954 ha aperto al Psi ancora frontista e nel 1955 Giovanni Gronchi è stato eletto al Quirinale con il voto dei parlamentari stalinisti. Per quarant’anni l’”Italia della Resistenza” – con il cosiddetto ”arco costituzionale” – è stata la base di una tenuta istituzionale e sociale nonostante crisi e tensioni attraverso ripetute strette economiche ed anni di terrorismo tra i più violenti e duraturi tra i paesi occidentali.

Purtroppo oggi rischiamo di avere una delle peggiori commemorazioni del 25 aprile a uso elettoralistico. Un vicepremier, Salvini, annuncia di disertare ogni celebrazione per puntare a raccogliere i voti neofascisti, da Casa Pound a Forza Nuova, mentre il co-vicepremier, Di Maio, pensa allora al 25 aprile come “carta da giocare” insieme al giustizialismo per recuperare i voti persi con l’alleanza gialloverde e il premier, Conte, si chiama fuori anticipando la partenza per la Cina.

E da sinistra è da attendersi il protagonismo dei “centri sociali” contro la Brigata Ebraica.

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Info Ugo Finetti

Ugo Finetti, giornalista, direttore di Critica sociale, è stato un esponente di primo piano del PSI, ricoprendo vari incarichi nel Consiglio comunale di Milano e in Regione Lombardia. È stato anche commissario della Biennale di Venezia e consigliere del Teatro alla Scala. Caporedattore Rai dal 1978 al 2008, ha realizzato inchieste e reportage in vari paesi europei.
Tra i suoi libri: "Libro bianco sulla crisi socialista" (1972), “Il dissenso nel Pci” (1978), "La partitocrazia invisibile" (1985), "La Resistenza cancellata" (2003), "Togliatti e Amendola. La lotta politica nel Pci" (2008), "Storia di Craxi". Miti e realtà della sinistra italiana (2009), "Botteghe Oscure. Il PCI di Berlinguer & Napolitano" (2016).
Dal 2011 al 2014 è stato Presidente dell'Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica (ISAP).

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Valerio dice

    23 Aprile 2019 alle 17:39

    Gentilissimo dott. Finetti,
    condivido totalmente quanto lei scrive a proposito della festa del 25 aprile. Antifascista da sempre per essere nato all’interno di unafamiglia anch’essa antifascista da sempre ( per parte materna l’antifascismo si materializzò anche con l’impegno nel salvare una famiglia ebrea nascondendola per mesi nella loro casa contadina; e per parte paterna anche attraverso l’uccisone di due miei zii e di due cugini nella strage di Vallucciole ( strage che naturalmente ha responabilità innanzitutto nei nazisti coadiuvati dai fascisti locali, ma anche nel comportamento diciamo così, sciagurato, dei partigiani che oramai è storicamente e moralmente certo la ” stimolarono”). Da decenni non partecipo a manifestazioni pubbliche celebrative perché troppo settarie o prepotentemente divisive. Ho per decenni insegnato storia alle scuole superiori e spero di essere riuscito a trasmettere nei miei allievi la passione per Fenoglio e per tutto quello che è espressione di libertà di pensiero rispetto ai condizionamenti ideologici quando questi sono espressione di settarismo e di qualsiasi “complesso” di superiorità. Domani l’altro, come l’anno scorso e altre volte, andrò con mia moglie a rendere omaggio a piedi ad un cippo remoto che ricordi un partigiano o un qualunque civile assassinato per rappresaglia dai nazifascisti. Ma quanto sarebbe bello se la festa della Liberazione diventasse davvero una festa facendo appunto festa e con la retorica ridotta ai minimi termini!

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