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Liberalismo versus illiberalismo, la nuova frontiera

Non è facile liberarsi di categorie che hanno un peso storico e che hanno svolto una loro funzione. Eppure una rifondazione liberale non può prescindere dal superamento delle categorie storiche, per definire invece altre discriminanti identitarie. Nuove ma che riportano all’origine.

5 Novembre 2020 da Carlo Rubini Lascia un commento

Iniziamo con questo articolo una collaborazione con la rivista di cultura politica “Luminosi giorni”. La scommessa, come stiamo già facendo da tempo ripubblicando articoli di fogli on line che perseguono obiettivi simili al nostro, è di creare una rete sul territorio per portare avanti con maggior forza e determinazione quelle idee riformiste e liberali che sono oggi in grandissima minoranza nel Paese ma che, a nostro giudizio, sono  le uniche che possono garantirci un futuro da Paese moderno e sviluppato.

L’articolo di Lorenzo Colovini sul destino di Azione di Calenda, l’intervista a Claudia Mancina, rimandando poi alla lettura su quel giornale, stimolano la riflessione su un progetto politico che appare sempre più urgente. Quello sulla costituzione o ri-costituzione nel panorama politico italiano, ma mi pare anche europeo, del liberalismo democratico. A me piace chiamarlo così, perché è una definizione bastante. Dove anche lo stesso aggettivo “democratico” sarebbe un termine pleonastico, quasi una tautologia se insieme a “liberalismo”. Per ora lo si potrebbe definire “il terzo assente” o meglio ancora “il terzo perennemente assente”, se non fosse che la “terzietà” risulta riduttiva rispetto alla sua dimensione storica. E questo riduttivismo sta probabilmente alla radice di tutti i fallimenti di rappresentarlo.

Ed è paradossale perché il liberalismo democratico da una parte è l’ispiratore di tutte le democrazie moderne e delle loro Carte Costituzionali e dall’altra di tutti i partiti e i movimenti che hanno negli ultimi due secoli provato a proporre forme, anche antitetiche tra loro, di democrazia concreta e reale, a volte fallimentare, altre più riuscite. Dai partiti liberali classici presenti in ogni stato, che si sono autocollocati a destra, fino agli stessi partiti comunisti, passando per tutte le sfumature tra questi due estremi, compresi i partiti d’ispirazione confessionale: tutti hanno avuto una gemmazione nel pensiero liberale nato dall’illuminismo, anche quelli che poi, penso ai cattolici e ai comunisti, l’hanno declinato  con forme anche illiberali e opposte alla matrice originaria. Alcuni pesantemente illiberali, altri più moderatamente.

Non sfugge a questo riduttivismo neppure un politologo accorto e smaliziato come Ilvo Diamanti che su Repubblica della settimana scorsa http://www.demos.it/a01772.php limita questa assenza o inesistenza ad un problema del centro politico dell’arco parlamentare; lamentando che in tutte le scadenze elettorali che si ripresentano in Italia ( e non solo) ha pochi voti, sempre inesorabilmente inferiori o molto inferiori al 10%. Se va bene, si potrebbe aggiungere. Un ghetto ininfluente.

A parer mio se si vuole veramente ri-fondare il liberalismo democratico è necessario pensare ad uno scenario politico in cui si eliminano le posizioni spaziali storiche. Che invece Diamanti utilizza ancora perché, se si riferisce insistentemente a un ‘centro’, ragiona pur sempre con il binomio sinistra-destra in testa. Nell’intervista che pubblichiamo la stessa Mancina, che pure insiste anch’essa sulla necessità di un neo liberalismo, si arrampica un pò sugli specchi quando deve assegnargli un nome, proponendo un “liberalismo di sinistra”.

Ora io capisco bene che non è facile liberarsi di categorie che hanno un peso storico e che hanno svolto una loro funzione, capisco anche che non c’è ancora in campo qualcosa di delineato che ne possa fare a meno. Eppure resto convinto che una rifondazione liberale non possa prescindere dal superamento delle categorie storiche, per definire invece altre discriminanti identitarie. Nuove ma che riportano all’origine.

Potrà sembrare semplicistico, ancora più riduttivo, ai limiti dell’elementare, ma io credo che un discrimine stia semplicemente tra ciò che è liberale e ciò che non lo è.

Liberalismo versus illiberalismo. In questo schema si che mi sento “di parte” e accetto di schierarmi.

Per la buona ragione che il termine liberale è denso di contenuti anche nel presente. Contiene infatti: la partecipazione politica attraverso la rappresentanza, tutti i diritti di cittadinanza (tra questi la salute delle persone e dell’ambiente), la laicità, la solidarietà, il progresso e lo sviluppo tecnologico a favore della collettività, la giustizia sociale, il pluralismo culturale e sociale, la libertà d’impresa e di iniziativa se compatibile con gli interessi generali, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’internazionalismo e la mondialità. Ciò che è illiberale lo conosciamo bene, porta con sè opzioni e progetti che sistematicamente contraddicono tutti, uno per uno, quei contenuti. In primis sono illiberali tanto lo statalismo totalizzante nell’economia quanto il liberismo economico che subdolamente confonde le idee con quella radice comune. Può bastare?

(per continuare a leggere l’articolo cliccare su questo link: http://www.luminosigiorni.it/2020/10/14608/)

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