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Solo Riformisti

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Negli ultimi 30 anni abbiamo avuto sei leggi elettorali. Con il record, mai visto nel mondo occidentale, di un Parlamento che nella stessa legislatura vota due differenti leggi elettorali.

Legge elettorale “a la carte”

Negli ultimi 30 anni abbiamo avuto sei leggi elettorali. Con il record, mai visto nel mondo occidentale, di un Parlamento che nella stessa legislatura vota due differenti leggi elettorali.

7 Aprile 2021 da xenia Lascia un commento

La vicenda delle leggi elettorali in Italia, negli ultimi trent’anni, è la manifestazione palese della confusione politica, che trascina con sé il deterioramento delle istituzioni democratiche. Abbiamo avuto dal 1946 al 1993 un sistema proporzionale con cui abbiamo votato per undici elezioni del Parlamento e per i Consigli comunali, regionali e provinciali. In questo periodo l’Italia è passata dalla condizione miserabile del dopo guerra ad essere una delle dieci più grandi economie del mondo.

Dal 1994 stentiamo a stare al passo con gli altri Paesi, siamo sempre tra recessione e stagnazione, ma grazie a un sistema fiscale che fa acqua da tutte le parti, ai condoni, alle sanatorie, all’assistenzialismo di Stato, nonostante la presenza dominante della criminalità organizzata in quattro regioni del sud, il Paese sta a galla e gli italiani se la cavano, indifferenti al caos politico che loro stessi generano.  Sia chiaro, non è colpa degli italiani, ma delle élite politiche e culturali, dei mass media, delle vere “caste” esistenti, che dal 1993 hanno diffuso a piene mani il disprezzo nei confronti della politica e hanno proposto agli italiani varie scorciatoie fasulle, per uscire dal marasma.

Dal 1993 abbiamo avuto il  Mattarellum (sistema maggioritario con quota proporzionale),  il Porcellum-Calderoli (sistema proporzionale con premio di maggioranza, e che dopo le elezioni del 2013, la Corte Costituzionale bocciò per l’assenza di una soglia per far scattare il premio di maggioranza, per la lunghezza delle liste bloccate e per la mancanza dei voti di preferenza), poi l’Italicum (bocciato dalla Corte Costituzionale), e infine il Rosatellum. Diciamo inoltre che non si è mai visto, nel mondo occidentale, democratico, un Parlamento che nella stessa legislatura vota due differenti leggi elettorali. Un record mondiale!

A settembre 2020 il popolo italiano vota la riduzione dei parlamentari e tutti i partiti promettono una nuova legge elettorale. A febbraio, per salvarsi e conquistare i “responsabili”,  i partiti del governo Conte (PD compreso) promettono una legge proporzionale. Poi arriva Letta e propone di tornare al Mattarellum (mah!?).

Qualche giorno fa, sento a Zapping-RadioUno, Nicola Oddati, della segreteria politica di Zingaretti, responsabile della cultura e del coordinamento della iniziativa politica (sic! confesso, che non conoscevo questa persona e questi incarichi): difendeva ovviamente la “scossa forte” delle dimissioni di Zingaretti, quest’ultimo descritto come “promotore di Letta”: “lo stesso modo di fare politica” . E vabbè, abbiamo scherzato!

Ma la cosa sorprendente è la cultura istituzionale di uno che ha fatto l’assessore a Napoli, il segretario dei DS, era della segreteria nazionale del PD ed  è “zingarettiano” (come si autodefinisce).

La legge elettorale non si fa in funzione della democrazia e delle istituzioni, della Costituzione: democrazia parlamentare rappresentativa o potere esecutivo. No, secondo questo esimio rappresentante del PD (testualmente) “ la legge elettorale è molto in relazione con il tipo di alleanze che si costruiscono. Se si fanno alleanze “leggere”, si fa un  sistema proporzionale, e  vuol dire che devi cercare in Parlamento le forze per governare. Se, come vuole anche Letta,  fai una coalizione, una alleanza più forte, più strategica, hai due schieramenti e allora si va al maggioritario”. Non contento, ripete “la legge elettorale dipende dal tipo di coalizione che si fa, e comunque il sistema maggioritario è da sempre nel DNA del PD” (ma con quali contrappesi, per il controllo dell’esecutivo e per  la funzione legislativa, non è dato saperlo)

In conclusione, un partito che si affida alla legge elettorale per la sua sopravvivenza, è un partito che rinuncia a fare politica, a conquistare consenso anche nel settore sociale e culturale moderato,  ad esprimere la sua “vocazione maggioritaria”, come dicono nel PD.  Pensa solo che la “gggente” lo voti per contrastare la destra. Ma come nel 2018, e in altre elezioni, la cosa non funziona. Piuttosto che fare politica, fare proposte valide per le forze produttive del  Nord e non ripetere le solite litanie assistenzialistiche per il Sud, ci si aggrappa alla sesta legge elettorale in trent’anni, calibrata sulla possibilità di battere l’avversario politico.

Nessun Paese occidentale ha prodotto tante leggi elettorali in trent’anni e poi non chiedetevi perché siamo il Paese più assistito dall’Europa, perché all’instabilità di governo si accompagna la instabilità politica.

E non passa nella testa che bisogna disarticolare l’avversario, separare moderati, conservatori e reazionari. No,  avanti con un’altra legge elettorale, che farà ricompattare il centrodestra. Ma tanto,  l’esperienza di questi anni non serve a nulla: a Roma si pensa solo ai posti nel Palazzo, e Letta pensa anche con la foglia di fico delle donne, di vendicarsi dei “renziani rimasti”, oggi, e nelle prossime liste elettorali, trovando in questo nobile obiettivo l’accordo di tutte le correnti anti renziane.

Ripeto  che in 48 anni della “prima repubblica (dal 14 luglio 1946) abbiamo avuto 45 governi con una media di 13 mesi di durata; in 27 anni (dall’11 maggio 1994) abbiamo avuto 16 governi con una media di 20 mesi: Draghi è il diciassettesimo governo  della “seconda repubblica”.

Ma va bene così;  in fondo, Draghi è una parentesi, poi sarà bello tornare con le 5S, in una coalizione “forte”.

(Questo articolo con il consenso dell’amministratore del blog è ripreso dal sito www.ilmigliorista.eu)

 

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