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Offrono risorse ma non dovrebbero esistere. Anche per questo  si impone una riforma del bilancio pubblico che obblighi gli amministratori a non ricorrere a questi escamotage per far quadrare i conti.

Le pieghe del bilancio

Offrono risorse ma non dovrebbero esistere. Anche per questo  si impone una riforma del bilancio pubblico che obblighi gli amministratori a non ricorrere a questi escamotage per far quadrare i conti.

11 Dicembre 2021 da Carlo Manacorda Lascia un commento

E così, anche il Governo Draghi ha dato una sbirciatina tra le pieghe del bilancio. Vi ha trovato 300 milioni di euro che gli sono serviti per raggiungere i 2,8 miliardi da inserire nella legge di bilancio 2022 finalizzati ad attenuare i rincari delle bollette di luce e gas che si abbatteranno, prossimamente, sugli italiani. Anche il neo-sindaco di Roma Roberto Gualtieri trova, tra le pieghe del bilancio della Capitale, 32 milioni che gli servono per far ripartire subito la Città. In breve, scorrendo la storia patria, risulta che non c’è amministratore pubblico nazionale o locale, del presente e del passato, che non abbia dato una sbirciatina tra le pieghe del bilancio. Una fugace occhiata per rinvenirvi somme occulte, utili però per risolvere i suoi problemi finanziari insolubili fino a qualche minuto prima.

Una siffatta narrazione non può non destare nei cittadini non addetti ai lavori una curiosità. Ma quali regole contabili segue il bilancio pubblico che presenta tutte queste pieghe? Pieghe, tra l’altro, che consentono sempre di scoprire sommette nascoste indispensabili per far quadrare i conti. L’argomento merita qualche parola.

È del tutto evidente che l’espressione “trovare somme tra le pieghe del bilancio” è di natura metaforico-giornalistica. In generale, allude a zone d’ombra del bilancio che, non rispettando le regole comuni di questi documenti contabili, celano risorse esistenti ancorché non visibili. Va anche detto che i bilanci delle grandi amministrazioni pubbliche movimentano somme ingenti di denaro. Per dare un’idea, il bilancio dello Stato supera i 1.000 miliardi di euro. Si potrebbe dunque ritenere che le dimensioni del bilancio giustifichino che alcuni importi non siano del tutto evidenti se non andandoli a scovare in qualche maniera. Per dare una motivazione alle risorse nascoste nelle pieghe del bilancio, chi governa sciorina discorsi complessi. Tira sempre in ballo somme messe a bilancio per determinate esigenze, che risultano poi  ― in tutto o in parte ― inutilizzate. Le pieghe di bilancio si palesano in queste circostanze e consentono di scoprire economie non rilevate prima.

Nessuna di queste spiegazioni sembra tuttavia reggere. Negli anni, i Parlamenti hanno sfornato migliaia di norme per disciplinare i bilanci pubblici. In epoche più recenti, constatando lo sfascio della finanza pubblica ed anche in ottemperanza a direttive europee, per questi bilanci sono state dettate regole più rigorose. S’è affermata una concezione della gestione dello Stato e degli enti pubblici di tipo aziendalistico (new public management). Di conseguenza, c’è stato un avvicinamento delle regole di gestione della finanza pubblica a quelle della finanza privata. Nel nuovo quadro, anche i bilanci pubblici dovrebbero seguire principi di programmazione, riferita a progetti definiti per obiettivi da conseguire e risorse occorrenti per la loro realizzazione Sistemi di controllo costanti e penetranti dovrebbero seguire lo sviluppo dei progettiindicando, tempestivamente, grado di realizzazione ed eventuali minori spese nelle risorse stanziate. Se tutto ciò corrispondesse alla realtà, non esisterebbero pieghe di bilancio, con risorse occulte.

Vero è che le regole esistono per lo più sulla carta. Le amministrazioni pubbliche, a partire dallo Stato, operano sulla base di bilanci di previsione nei quali le risorse vengono principalmente definite non sulla base di programmi fattibili ed analizzati, ma per assecondare pretese di questa o di quella forza politica. Si agisce così poiché la fragilità dei Governi deve continuare ad averne il sostegno. Quanto ai controlli, la latitanza è elevata. In ogni caso, è poco incisiva e fatta a posteriori. Va da sé che questo è un sistema che consente, complessivamente, la formazione di pieghe del bilancio nelle quali scovare, all’occorrenza, risorse nascoste.

Sempre seguendo regole del settore privato, si è giunti a ritenere che, come in questo settore esistono gli azionisti che controllano la bontà della gestione, anche nel settore pubblico i cittadini contribuenti sono gli azionisti della finanza pubblica, della quale hanno diritto a conoscere lo stato fino in fondo. Si è, quindi, introdotto un ulteriore principio per l’azione amministrativa. Quello della trasparenza che, totalmente applicabile anche alla gestione contabile, dovrebbe garantirne la piena conoscenza. Ma anche la trasparenza è un principio che esiste soprattutto in astratto.

Le pieghe del bilancio suscitano inoltre un’altra riflessione. Com’è noto, la Rivoluzione francese segnò la fine degli Stati assoluti e la nascita delle Democrazie. La Rivoluzione ha avuto effetti anche in materia contabile. Ha dato luogo al “diritto al bilancio” per i cittadini. Per grandi linee, prima della Rivoluzione era il Sovrano l’unico conoscitore e gestore della finanza pubblica. Il patrimonio dello Stato coincideva con il suo patrimonio e, anche in materia di finanza pubblica, era la sua volontà che prevaleva.

La nascita dei Parlamenti, dando rappresentanza ai cittadini, riconobbe anche a loro una partecipazione nella gestione della finanza pubblica, ampiamente riconosciuta nelle Costituzioni. Continuare dunque a sentir dire, da parte di chi governa, che ha trovato, tra le pieghe del bilancio, risorse sconosciute sembra evocare immagini del passato proprie, come detto, di Stati assoluti. Era il Principe che rivelava che c’erano zecchini nascosti, che poi destinava secondo suoi disegni. In poche parole suona male, nell’ottica democratica, sentir parlare di pieghe del bilancio nelle quali si annidano risorse note soltanto a pochi eletti e da spendere secondo le loro volontà.

Senza dover ricorrere alle tortuose norme sulla trasparenza amministrativa, la nostra Costituzione repubblicana, a garanzia del buon andamento della cosa pubblica, proclama ripetutamente per i cittadini il “diritto al bilancio”. Sembrerebbe quindi utile una riforma del bilancio pubblico che, unitamente alla stesura di regole astratte, imponesse agli amministratori pubblici di non poter mai costituire pieghe del bilancio cui ricorrere per far quadrare i loro conti. Ma sarebbero sempre gli stessi amministratori ad opporsi a questa riforma. Le pieghe del bilancio fanno comodo…. e fanno apparire importanti.

 

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Info Carlo Manacorda

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Torino, è stato Direttore di Enti pubblici, Presidente di Società private, Componente di Consigli di Am-ministrazione, ed ha rivestito altre cariche pubbliche. E’ stato Docente di Contabilità pubblica e di Scienza delle Finanze presso le Facoltà di Econo-mia e di Giurisprudenza dell’Università di Torino, Componente del Nucleo di Valutazione della stessa Università e Presidente del Nucleo di Valutazione dell’Università della Valle d’Aosta. E’ stato Componente dell’Organismo di Vigilanza di Finpiemonte Partecipazioni S.p.A. e iscritto nel Registro dei Revisori contabili. E' Autore di oltre 150 pubblicazioni (libri e saggi) in ma-teria di Economia e Contabilità pubblica, Diritto pubblico, Organizzazione e Gestione delle Amministrazioni pubbliche e private. Ha scritto e scrive su Giornali, Riviste e altri periodici.

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