Quali sono i reali motivi della attuale rivalità degli armamenti in Europa e, specialmente, della rivalità anglo-tedesca? Ogni nazione ha la pretesa che i suoi armamenti siano puramente difensivi, ma è un pretesto questo che implica necessariamente il fatto che altre nazioni abbiano interesse ad attaccare. Qual è questo interesse, reale o supposto che esso sia?
Tale accennato interesse ha la sua origine nella teoria, comunemente accettata, che il potere militare e politico conferiscano a una nazione dei vantaggi commerciali e sociali; che la ricchezza e la prosperità delle nazioni indifese siano alla mercé delle nazioni più forti, le quali possono in tale debolezza trovare il pretesto per commettere un’aggressione. In questo modo, ogni nazione si trova costretta a proteggersi contro la possibile cupidigia delle altre vicine.
L’autore va a fondo di questa teoria, sinora universalmente accettata, e la dichiara originata da una mera illusione ottica. Egli giunge a dimostrare che tale situazione apparteneva a una fase di sviluppo del tutto sorpassata. Egli mostra poi come il commercio e l’industria di un popolo non dipendano per nulla ormai dalle sue frontiere politiche, e che queste ultime non coincidono con quelle economiche. Afferma che la potenza militare non ha valore dal punto di vista sociale ed economico, e che non ha relazione con la prosperità della nazione che la esercita. Per egli è, inoltre, impossibile per una nazione annullare con la forza il benessere o il traffico di un’altra e arricchire se stessa mediante tale dominio. In breve, la guerra anche se vittoriosa non dà invero i risultati che comunemente si credono.
Egli dimostra la verità di tale apparente paradosso, sempre in relazione a quanto è connesso col problema economico in questione, illustrando il concetto che, nel mondo civile, la ricchezza ha per base il credito e i contratti commerciali. Questi ultimi rappresentano lo sviluppo dell’interdipendenza economica, dovuta alla sempre crescente divisione del lavoro e all’aumentato sviluppo delle comunicazioni.
Se il credito e i contratti commerciali sono minacciati dalla conquista del nemico vittorioso, la ricchezza (che dal credito, appunto strettamente dipende) non soltanto svanisce, ma non lascia nulla al vincitore in cambio della sua vittoria, e, anzi, lo trascina nella sua stessa caduta. In questo modo, se egli vuole che la sua vittoria non gli rechi alcun danno, tale ipotetico vincitore deve scrupolosamente rispettare la proprietà del vinto nemico; altrimenti si può dire che sia sempre inutile la vittoria, almeno dal punto di vista economico.
Il benessere di un territorio conquistato rimane indiscutibilmente nelle mani della popolazione di quel territorio.
Quando la Germania annetté l’Alsazia, non un solo cittadino tedesco ottenne un soldo di proprietà dell’Alsazia stessa, quale risultato della guerra. La conquista nell’attuale momento della nostra storia è un processo in cui bisogna moltiplicare per c, ma anche dividere per c lo stesso fattore. È così che per una nazione moderna un aumento di territori ha lo stesso risultato sul benessere dei suoi cittadini di quello che potrebbe avere per gli abitanti di Londra l’annettere la città di Oxford.
L’autore dimostra poi che la finanza internazionale è divenuta così interdipendente nei rapporti col commercio e con l’industria, che l’intangibilità della proprietà del nemico è da considerarsi ormai come estesa anche ai di lui commerci. Ne risulta che il potere militare e politico non hanno alcuna influenza sul commercio stesso e, in realtà, i mercanti e gli industriali dei piccoli Stati privi di tale potenza rivaleggiano con successo con quelli dei grandi Stati. I commercianti della Svizzera e del Belgio stanno ora cacciando gli inglesi dal mercato coloniale britannico e la Norvegia ha, relativamente alla sua popolazione, una marina mercantile ben più sviluppata di quella della Gran Bretagna. Inoltre, il credito pubblico (indice, fra gli altri, di sicurezza e benessere) dei piccoli Stati, privi di potenza politica, è spesso quotato assai più alto di quello delle maggiori potenze d’Europa: così il 3% del Belgio è a novantasei, mentre quello della Germania a ottantadue; e il 3,5% della Norvegia è a centodue, mentre quello della Russia a ottantuno.
Ed è questa medesima forza, la quale ha dato luogo alla futilità economica della potenza militare, che rende impossibile stornare gli ideali morali di una nazione o imporre a un popolo conquistato istituzioni sociali a esso non conformi.
Così, sarebbe oggi impossibile alla Germania fare del Canada o dell’Australia una colonia tedesca (cioè annullare la loro lingua, le leggi, la letteratura, le tradizioni ecc.) sconfiggendole sul campo di battaglia.
Sono i vari rapporti della vita moderna e le rapide intercomunicazioni e lo scambio dei traffici e la sicurezza dei rispettivi domini, che proteggono ora anche le minori comunità contro simili pericoli della più completa conquista militare. E, allo stesso modo, la lotta per gli ideali non può più assumere la forma di lotta fra le nazioni, poiché le linee di divisioni delle questioni morali sono oggi nelle nazioni medesime e, coincidendo con le frontiere politiche, le intersecano. Per questa ragione, non esiste Stato moderno che sia interamente cattolico o protestante, interamente liberale o autocratico, aristocratico o democratico, socialista o individualista; le lotte sia morali che intellettuali nel mondo attuale non si svolgono fra pubblici poteri di Stati rivali ma, nello stesso Stato fra gruppi di cittadini che si trovano a essere in linea di intellettuale cooperazione (sia pure inconsapevole) con gruppi corrispondenti in altri Stati.
Ed è questo tipo di classificazione a base di strati sociali che implica necessariamente altre direzioni alle lotte umane, basate ormai piuttosto sugli interessi e le rivalità di classe che sulle divisioni di Stato.
E così la guerra non è più giustificabile dal punto di vista della sopravvivenza del più forte, se al benessere di questo è strettamente connessa anche la sopravvivenza del più debole. L’idea che la lotta fra le nazioni sia parte della legge dell’evoluzione umana include un profondo equivoco di ciò che è analogia biologica. Così le nazioni guerriere non sono per nulla le padrone della terra e il fatto che la forza fisica diventa un fattore di sempre minore importanza nelle zone dell’attività umana coinvolge importanti modificazioni psicologiche al riguardo.
È tutto un insieme di fatti, dunque, a cominciare dal cambiamento avvenuto delle condizioni della vita moderna (dovuto alla maggiore rapidità nelle comunicazioni), che ha reso e rende ormai di gran lunga diversi i problemi dell’attuale politica internazionale da quelli passati.
Li ha resi profondamente ed essenzialmente diversi. Tuttavia, le nostre idee in proposito sono ancora totalmente dominate dai princìpi e dagli assiomi, dalle immagini e dalla terminologia della vecchia e superata politica.
L’autore mostra come questi fatti, sinora poco riconosciuti, possano essere utilizzati per risolvere le difficoltà degli attuali armamenti e come una conforme modificazione dell’opinione pubblica europea possa influire nel tentativo di dimostrare che l’aggressione non sia ormai per nulla fruttuosa. Anzi: diminuendo le possibilità dell’attacco, cala in maniera consequenziale la necessità della difesa.
Egli mostra come tale modificazione politica debba esser la meta di una politica pratica, e indica le vie da seguire per giungere a tale risultato.
Lascia un commento