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La crescita della Cassa Depositi e Prestiti

Riprendiamo dal sito dell’Istituto Bruno Leoni questo comunicato sulla Cassa Depositi e prestiti. Attualmente la Cassa fa tutto e investe in tutti i settori.  Ma chi e quando ha deciso che l’intera economia italiana dovesse essere un’emanazione della Cassa depositi e prestiti?

23 Marzo 2021 da Redazione Solo Riformisti Lascia un commento

La settimana scorsa, Cassa depositi e prestiti ha inaugurato una sede a Bari. Secondo la comunicazione veicolata dal gruppo, i nuovi uffici “non [saranno] più sedi di rappresentanza, ma veri e propri punti di riferimento operativi, grazie alla presenza di professionisti in grado di rispondere alle esigenze di imprese e pubbliche amministrazioni”. Attualmente, oltre alla sede principale di Roma e a quella appena aperta a Bari, la Cassa è presente a Milano, Torino, Venezia, Bologna, Palermo, Firenze, Napoli, Verona, Genova, Ancona, Cagliari, Sassari, Trento, Rovereto, Perugia, Modena, Chieti, Forlì e Bruxelles.

Il numero delle sedi e le parole utilizzate per descriverne l’espansione territoriale sollevano una domanda: qual è la missione della Cassa? Se ci affidiamo al sito, la risposta è questa: “Promuoviamo lo sviluppo sostenibile dell’Italia… sostenendo l’innovazione e la competitività delle imprese, le infrastrutture e il territorio. Sosteniamo l’innovazione, la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole, medie e grandi imprese… Finanziamo le infrastrutture e gli investimenti delle Pubbliche Amministrazioni e dei territori, supportiamo le politiche di valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti territoriali, investiamo nell’edilizia sociale e scolastica e sosteniamo le politiche di efficienza energetica. Offriamo alle Pubbliche Amministrazioni consulenza finanziaria e tecnica nelle fasi di programmazione e progettazione delle opere”.

Col nuovo patrimonio destinato – il tesoretto da 40 miliardi di euro ricevuto in chiave anti-Covid – la Cassa potrà inoltre investire nell’equity delle imprese nei settori strategici. Quali sono i settori strategici, lo chiarisce il regolamento della misura: “ferrovie, strade e autostrade, sistemi di trasporto rapido di massa per le aree metropolitane, porti e interporti, aeroporti, ciclovie”. Inoltre, “difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazione, energia, ricerca e innovazione nei settori ad alto contenuto tecnologico, turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, gestione di beni culturali e artistici”. Questo per quanto riguarda le imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro. Sono poi strategiche le imprese di più grandi dimensioni (con fatturato superiore a 300 milioni di euro), anche al di fuori dei settori citati. E sono strategiche le imprese con fatturato inferiore ai 50 milioni “che rientrano nel 30 per cento delle imprese con maggior numero di dipendenti nella provincia dove è situata la propria sede legale ovvero la sede dello stabilimento produttivo”. A livello nazionale ci sono circa 4,4 milioni di imprese attive. Di queste, 4,2 milioni (il 94,9 per cento) hanno meno di 10 addetti. Ciò significa che, per rientrare a livello provinciale nel 30 per cento delle aziende più grandi, specie nelle aree meno dinamiche bastano quattro o cinque dipendenti.

In sintesi: la Cassa fa tutto, investe in tutti i settori e può acquisire qualunque impresa più grandi di un esercizio di vicinato. È, dunque, perfettamente ragionevole che sia ovunque. Questo però conduce a una ulteriore domanda: chi e quando ha deciso precisamente che l’intera economia italiana dovesse essere un’emanazione della Cassa depositi e prestiti? Il premier Mario Draghi, che su questi temi è spesso intervenuto criticamente nel corso della sua carriera precedente, dovrebbe chiarire se la Cdp potrà continuare a crescere senza limiti, oppure se dei limiti ci sono e, nel caso, quali.

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