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Solo Riformisti

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Italia, vittoria politica dell’anti-politica

Pubblichiamo un articolo del prof. Sergio Benvenuto che uscirà sulla rivista Lettre International di Berlino. Gli italiani sono delusi da chiunque governi, sia esso di sinistra o di destra o populista. E’ il segnale della crisi della democrazia.

27 Agosto 2022 da Sergio Benvenuto Lascia un commento

1.

            Quando leggerete questo articolo, conosceremo già i risultati delle elezioni italiane del 25 settembre. I sondaggi danno per certa la vittoria della coalizione detta di centrodestra, ovvero di destra (in Italia la sinistra si chiama centrosinistra e la destra centrodestra; ipocriti eufemismi). Viene pronosticata la vittoria in particolare di Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni – un partito che ufficialmente ha abiurato il suo legame col fascismo, ma che è costituito essenzialmente da ex-fascisti, post-fascisti e simpatizzanti del fascismo. Perché tra i tre partiti della destra (quello di Berlusconi e la Lega di Matteo Salvini) vince proprio FdI? Semplice, perché questo partito da 11 anni è all’opposizione. Dal 1994 in poi, in Italia vince sempre l’opposizione. Solo che quando è il turno di vincere della sinistra, essa vince sempre di stretta misura, quasi non vince.

            Tutti conoscono in Italia il motto di Giulio Andreotti, potente leader politico di un tempo: “il potere logora chi non ce l’ha”. Ma oggi è il contrario: “Prende sempre il potere chi non ce l’ha”. Questo pendolarismo è l’esatto rovescio di quel che accadeva nella cosiddetta 1° Repubblica (dal 1947 al 1993), quando ogni elezione era vinta sempre dallo stesso partito, la Democrazia Cristiana, che quindi è rimasta al potere senza interruzione per oltre 45 anni. Il partito comunista era eternamente all’opposizione. Molte persone di sinistra hanno nostalgia di quell’epoca: era molto più facile, molto più comodo, molto meno colpevolizzante, essere sempre all’opposizione! Se il partito comunista avesse governato, avrebbe deluso tanti. A cominciare dagli intellettuali di sinistra.

            Insomma, gli italiani sono delusi da chiunque governi, sia esso di sinistra o di destra o populista. Leggo questa fatale delusione come un segnale di crisi della democrazia: “se chiunque noi eleggiamo delude, allora è meglio essere governati da un capo – come Putin o Xi – che ci dispensi dal pensare alla politica.”

Un segno della crisi della democrazia in Italia sono i quattro “governi tecnici” che l’Italia ha avuto dal 1993 a oggi – l’ultimo è stato quello di Draghi. Sono governi diretti da un uomo fuori dei partiti, scelto dal presidente della Repubblica, eletto dal Parlamento – non quindi una persona eletta dal popolo, ma che governa grazie a una maggioranza parlamentare ad hoc. Sommati assieme, i governi tecnici sono durati circa cinque anni sugli ultimi 29. Questo significa che, di fatto, il presidente della Repubblica governa indirettamente attraverso un premier detto “tecnico”. Segno che la democrazia italiana non riesce a esprimere governi stabili (dal 1993 in poi ha avuto 19 diversi governi).

2.

            Il voto per la destra è sempre più un voto anti-sistema, eversivo – come il caso Trump illustra perfettamente. Mentre il voto per la sinistra non radicale è un voto sempre più pro-sistema. Le analisi elettorali in tutto l’”Occidente”[1] sono chiare: il voto per la sinistra viene sempre più dagli strati più colti, di livello economico medio-alto, dalle grandi metropoli, dalle donne. Non è necessariamente il voto delle persone più ricche, ma direi delle persone con maggior prestigio. Così la maggior parte delle grandi città occidentali sono governate da sindaci di sinistra (lo sono anche le maggiori città italiane – Roma, Milano, Napoli, Torino). Mentre il voto per la destra – che prevale nei piccoli centri, tra i meno colti, tra gli operai, tra gli uomini anziani – è il voto di chi si sente, per una ragione o per l’altra, frustrato. Da chi è profondamente scontento del “sistema” e vuole ripristinare i valori che svaniscono, “Dio patria famiglia”. Costoro tendono a fare dei politici il loro capro espiatorio, ma di fatto essi vivono fino in fondo quel che Freud chiamava Unbehagen in der Kultur, da intendere come Unbehagen in der Modernen Gesellschaft.

            Nella 1° Repubblica era il contrario: la sinistra, monopolizzata dal partito comunista, appariva anti-sistema, sia perché esso parteggiava per il nemico n. 1, l’Unione Sovietica, sia perché voleva eliminare il capitalismo. Grazie a una rotazione dell’universo politico, oggi le parti si sono rovesciate: la sinistra è per il sistema, la destra è anti-sistema. Questo spiega il fatto che, secondo i sondaggi, gli italiani che appoggiano più fortemente l’Ucraina contro la Russia, che hanno più fiducia nella NATO, che vogliono un aumento delle spese militari, più unità europea, sono elettori di sinistra. Mentre chi vota a destra tende a simpatizzare per Putin, è contrario al rafforzamento della NATO e vorrebbe uscire – se potesse – dall’euro e dall’Unione Europea.

            Ma cosa intendo per “sistema” di cui chi vota a sinistra si fa paladino? Lo caratterizzo in alcuni punti:

  • Europeismo. Il futuro dell’Italia è pensabile solo all’interno di un’Unione europea.
  • Atlantismo. L’Europa, e quindi l’Italia, deve stringersi attorno agli Stati Uniti, fin quando questi saranno paladini delle democrazie liberali contro le “democrazie illiberali” (Russia) e le “non-democrazie illiberali” (Cina). La NATO è il sistema difensivo dei paesi “atlantici”.
  • Diritti civili e pluralismo culturale. Vanno garantiti i diritti di tutte le minoranze (sessuali, etniche, linguistiche, religiose) e delle donne. Piena libertà di espressione dei media.
  • Apertura all’immigrazione. Anche se i flussi migratori vanno controllati, l’immigrazione è un fatto positivo anche per il paese che riceve immigrati.
  • Libertà economica e intervento dello stato. La vecchia opposizione tra laissez-faire liberista e intervento economico dello stato (keynesismo) è superata: la libertà economica non impedisce l’intervento dello stato o delle banche centrali nei meccanismi economici (ad esempio, attraverso una politica fiscale, attraverso le facilitazioni a un certo tipo di imprese, ecc.)
  • Checks and balances. Il potere non va concentrato in pochissime figure ma distribuito a tutti i livelli, in modo che un potere centrale sia sempre limitato e controllato.

Oggi la sinistra fa proprie tutte queste istanze del Sistema liberal-democratico. A cui aggiunge il richiamo a una una minore diseguaglianza economica tra i cittadini. Cosa che di solito si risolve in un’imposizione fiscale progressiva.

            Chi vota a sinistra può criticare a fondo certi aspetti della propria società, ma le critiche vertono sul fatto che il proprio paese non è perfettamente in linea con quelli che ho elencato come i capisaldi del Sistema. Oggi modelli per la sinistra sono i paesi del Nord Europa, in particolare i paesi scandinavi, e il Canada. La sinistra italiana di solito critica la distanza che l’Italia ha da questi modelli.

            Questi paesi-modello hanno anche diseguaglianze più basse che altrove. Ma all’elettorato italiano non importa nulla di avere più eguaglianza, e in effetti uno dei progetti della destra è di avere la flat tax, ovvero una tassa unica al 15% per tutti, che di fatto è un enorme regalo ai più ricchi. Ai più poveri non interessa affatto che i ricchi siano meno ricchi, a loro interessa che sbarchino meno poverissimi sulle coste italiane…

3.

            Cosa può significare di fatto “Dio patria famiglia”, ovvero gli ideali con cui Meloni vincerà le elezioni? Meloni dice spesso “sono una mamma italiana”. Ma tanti sono padri e madri italiani, eppure votano a sinistra.

            Per “Dio” la destra non intende le divinità delle varie religioni, ma solo il Dio della propria. Che nel caso dell’Italia è la religione cattolica, a cui l’84% degli italiani dice di appartenere. “Dio” significa quindi per la destra: la mia tradizione religiosa. Il che la porta a detestare papa Francesco, perché lui sostiene gli immigrati e insiste sulle diseguaglianze. Papa Francesco è uno degli eroi della sinistra italiana, anche di quella atea.

            Per “patria” la destra non intende solo amare la propria patria, ma di fatto, nel caso dell’Italia, staccarla dall’Europa. L’invocazione del patriottismo ha un senso preciso: meno unità europea. Ma ha anche un senso più sottile, espresso bene dall’”America First!” di Trump: “il mio paese ha come valore-guida della propria politica estera l’interesse nazionale, e solo quello”. Ovvero, “il mio paese” non deve proteggere più le democrazie liberali – nemmeno dell’Ucraina e di Taiwan – perché “il mio paese” non ha una base ideologica. Patriottismo significa qui “sono comunque per il mio paese! Anche se lo guida Mussolini”. Per la sinistra invece il patriottismo ha sempre anche una valenza universalista: “sono per il mio paese perché sostiene valori universali!”

            Per “famiglia” la destra intende essenzialmente la famiglia eterosessuale basata sul matrimonio. Niente “famiglie arcobaleno” come si chiamano in Italia, ovvero famiglie con due padri o due madri, niente matrimonio tra persone dello stesso sesso. La minaccia della cosiddetta “teoria del gender” viene vissuta talvolta in modo ossessivo da chi vota a destra.

            Per cui “Dio patria famiglia” significa di fatto “Mia religione nativa, solo i nostri interessi nazionali, nessun riconoscimento dell’omosessualità”.

            Ma allora perché chiamare anti-politica una politica conservatrice basata su valori etico-politici forti come “mia religione, interessi nazionali, niente omosessuali”? Perché questi valori sono considerati naturali, lo sfondo immutabile che “la politica” vorrebbe cambiare. La destra è conservatrice nel senso che vuol conservare un assetto considerato pre-politico, insomma, vuol conservarci immuni dalla Politica. Un progetto disperato, ma la storia è fatta anche da chi rifiuta la storia.

[1] “Occidente” tra virgolette perché ormai vi includiamo paesi orientali: Israele, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda. Tutti paesi ad alto sviluppo industriale caratterizzati da democrazie liberali. Per “liberale” intendo non free market theory, ma politica di difesa dei diritti civili e del pluralismo.

 

 

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