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Solo Riformisti

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In ricordo di Chernobyl

Il 26 aprile di 33 anni fa il disastro di Chernobyl, il più grave incidente nucleare mai verificatosi. Fu il primo segnale che l’URSS era un castello di carte che non poteva più reggere.

23 Aprile 2019 da Luciano Pallini Lascia un commento

14 febbraio 1986, S. Valentino: esce il singolo del gruppo svedese Europe “ The Final Countdown”, un successo strepitoso destinato a durare  nel tempo fino a divenire un evergreen.

Il conto alla rovescia ultimo, definitivo  cominciava  ma come tutte le profezie non indicava come e quando si sarebbe realizzata, quanto mancava all’ora zero, per chi e quando sarebbe suonata la campana.

Mattina, 28 aprile dello stesso anno:  nell’impianto nucleare di Formarsk in Svezia gli apparecchi segnalano un improvviso picco nella radioattività,  la cui origine  viene subito individuata dai controlli nelle  scarpe calzate da un tecnico che dall’esterno ha portato dentro l’impianto  il pulviscolo radioattivo trasportato dai venti  da Chernobyl in tutta Europa, dalla Scandinavia  fino all’Italia.

A Chernobyl, orgoglio della tecnologia nucleare sovietica, un concatenarsi di eventi avversi ed errori umani – insieme a carenze di progettazione e costruzione – aveva causato ben due giorni prima,  alle ore 1:23:54 (oralocale) del 26 aprile,   l’esplosione del reattore numero 4.

Per due giorni  interi era stato tenuto nascosto al mondo che l’inferno si era materializzato sulla terra, che  le fiamme della Geenna ardevano inestinguibili: dopo l’allarme lanciato dalla Svezia, le autorità sovietiche    facevano sapere prima  all’Ambasciata di Svezia a Mosca di non avere  notizia “di incidenti in centrali nucleari sovietiche”,  poi tramite la Tass si ammetteva l’incidente: “Il danneggiamento di un reattore ha provocato oggi un incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, nella regione di Kiev, in Ucraina. Si sta dando aiuto a coloro che sono stati colpiti”.

Vse pod kontrolem, tutto è sotto controllo, così aveva dichiarato   Mikhail Gorbaciov, segretario generale del Pcus, che appena qualche mese prima aveva ufficialmente avviato la politica di cambiamento in nome della glasnost(trasparenza) e  della perestroijka(ricostruzione).

Ottobre 1986:cominciava il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan invaso nel 1979, ritiro che si concludeva nel 1989, l’anno del crollo del muro di Berlino: come scivolando  su un piano inclinato inarrestabile arriva la fine dell’URSS, irriformabile nonostante tutti gli sforzi di  Gorbaciov.

L’URSS si dissolveva come un castello di carte dopo il fallito golpe del 1991:  un testimone diretto, Tiziano Terzani,  in Buona notte,  signor Lenin  ha raccontato il camaleontismo dei dirigenti locali che, abbassata la bandiera con la falce ed il martello,  innalzavano antiche bandiere  mentre  le antiche questioni nazionali, compresse con la violenza, riemergevano impetuose contro le minoranze russe così come si rinfocolavano  tragici conflitti etnici e religiosi, come ci hanno raccontato le drammatiche testimonianze. riportate da Svetlana Aleksievicin Tempo di Seconda mano.

1991, 1 dicembre:   unreferendum sanciva  l’indipendenza dell’Ucraina, una separazione  particolarmente sofferta per la Russia che perdeva là dove tutto aveva inizio nel IX secolo, una separazione che arriverà anche allo scontro armato per la questione della Crimea e del Donbass.

 

Gli  antichi conflitti tra Russia ed Ucraina si collocano nelle tormentate vicende di quella Terra di Mezzo perennemente contesa tra le potenze egemoni, prima Russia ed Impero austroungarico e poi Reich tedesco, il mantice di una fisarmonica che ora si chiude schiacciando tutto quello che sta in mezzo e che ora si apre dando   respiro.

Per questo  è sbagliato  leggere le vicende contemporanee dei paesi di questa Terra, dalle repubbliche baltiche  all’Ungheria all’Ucraina, dimenticando che sono state merce di scambio nel secolo breve delle contrapposte politiche di potenza di Germania ed URSS che se le spartivano, aggiungevano o toglievano territori, generando così lacerazioni e risentimenti che hanno resistito  all’oppressione dei regimi per riesplodere oggi con virulenza e che un Occidente dalla cattiva coscienza guarda con disprezzo.

E’ questo il caso dell’Ucraina: basta guardare una cartina storica per vedere quante volte è cambiata la geografia di quella nazione, incorporata con la forza delle armi nell’Unione Sovietica, un paese che ha nella sua memoria collettiva Holodomor.

A differenza del genocidio armeno,   ormai acquisito stabilmente  nella coscienza dell’occidente,  l’Holodomor, il genocidio ucraino con dieci milioni di vittime delle politiche di Stalin,  è ancora sostanzialmente ignorato nonostante  il 23 ottobre 2008il Parlamento europeoabbia adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l’ Holodomor come un crimine contro l’umanità.

Onore ai liquidatori

Attraverso  la forza delle immagini e l’essenzialità dei testi, Simone Fagioli con questo suo lavoro ci rende partecipi di una  storia le cui fiamme ancora ardono, ora alte ora trattenute sotto le  ceneri.

A spengere le  fiamme   di Chernobyl furono mandati, senza consapevolezza di quel che era accaduto, senza piena coscienza dei pericoli, senza protezioni adeguate  i liquidatori, seicentomila  persone il cui compito era “liquidare”  la portata distruttiva delle scorie radioattive.

Ci ha ricordato Svetlana Aleksievicin Preghiera per Chernobyl  che tra di loro c’erano vigili del fuoco subito pronti a fare il proprio dovere ( come quelli che accorsero alle Torri Gemelle a New York  l’11 settembre 2001), volontari mossi dall’orgoglio di appartenere ad un grande popolo e ad un grande paese, comandati che non potevano rifiutare l’incarico.

Il loro sacrificio ha riscattato una parola che richiamava gli anni del Grande Terrore staliniano , quando compito dei liquidatori  della NKVD, la polizia politica, era liberare anche fisicamente  la patria del socialismo realizzato dalle “scorie”  qualunque opposizione e voce critica.

Ai liquidatori di Chernobyl è dedicato questo volume.

Pubblicato in  Simone Fagioli “Polvere. Viaggio a Chernobyl, Pripyat, Duga 3, Kiev. Sulle tracce di un impero dissolto” Settegiorni editore, 2017

 

 

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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