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Solo Riformisti

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I rischi della Toscana

La vittoria del centrosinistra non va sopravvalutata. C’è stanchezza dei Toscani per un certo modo di amministrare. Alcuni “difetti” vanno rimediati. Più innovazione, più sviluppo e più attenzione al privato. L’importanza del ruolo dei riformisti.

3 Ottobre 2020 da Mauro Grassi Lascia un commento

In Toscana è finita la campagna elettorale. Si può ricominciare a ragionare con serenità e, speriamo anche con un po’ di lucidità. Il centrosinistra ha vinto anche se ha dimostrato qualche problema di tenuta generale risolta poi, brillantemente  in termini di voti, negli ultimi giorni. Abbiamo il nuovo Presidente. Giani una brava persona,  che non è un diminutivo, e un leader che sembra fare dell’inclusione e del pragmatismo il suo asse di riferimento principale. Benvenuto, dopo tanti scontri ideologici e dopo troppi leader attenti a trovare i “nemici” piuttosto che a moltiplicare, e quindi collaborare, con  “gli amici”. Le premesse per un Governo delle cose ci sono. Ma vediamo quali sono i rischi.

Il primo è la sopravvalutazione della vittoria. Gli otto punti di differenza non sono pochi. Ma sarebbe un errore interpretare questa differenza come sintomo di una egemonia incontrastata del centrosinistra in Toscana. A parte le tante città governate dal centrodestra la stanchezza dei toscani verso una certa tradizione politica è palpabile. La si sente nelle aree di maggior dinamismo, nel mondo giovanile e in tanti cittadini che pur non trovando nel centrodestra un proprio riferimento  credibile si sentono tuttavia insoddisfatti per la lettura dei fenomeni e quindi per le soluzioni che vengono date dai governi, locali e regionali, e anche per  scelte nazionali realizzate da governi, più o meno definibili,  di centrosinistra. Guai a sottovalutare questo “sentiment” che emerge, talvolta sottotraccia,  fra i toscani. In questa pandemia covid19 il centrosinistra appare certamente più affidabile in termini gestione dell’emergenza e di attenzione alle fasce più marginali del paese, a fronte di una popolazione che si sente soggettivamente “marginale” anche quando “oggettivamente”  non lo è, ma è indubbio che aleggia nel paese una certa depressione e un certo attendismo che il centrosinistra non sembra in questa fase culturalmente in grado di far superare alla popolazione.

E qui si apre il secondo rischio per la Toscana. In Toscana si vive bene, per tanti motivi che attengono alla natura e alla storia ma anche per la cultura di governo e il civismo della regione. Ma la regione è lenta. In parte perché la sua demografia fa prevalere le classi anziane su quelle giovani ma anche per una certa cultura storica che ha fatto prevalere le scelte incrementali, e quindi a minor tasso di dinamismo, rispetto alle scelte più radicali. Insomma l’innovazione c’è stata, c’è tuttora ma “adelante cum judicio”. Ecco il centrosinistra toscano spesso si è adagiato su questo modello. Pensando che la regione deve essere accompagnata e non stravolta. Interpretando forse in questo anche un desiderio profondo di una popolazione benestante e anziana più attenta a non perdere ruolo che a conquistarne di nuovi. Ecco, nell’era post Covid che prima o poi inizierà o che forse è già iniziata, l’atteggiamento deve per forza cambiare. Le infrastrutture vanno fatte, e vanno fatte velocemente, l’imprenditorialità deve riprendere il proprio ritmo più accelerato favorendo la crescita dal basso ma anche l’attrazione dall’esterno che non va vista come invasione ma come contributo allo sviluppo, la meritocrazia e l’impegno individuale devono essere le basi per la rinascita e l’assistenza alle fasce deboli deve essere sempre di più uno strumento di uscita dalle difficoltà piuttosto che una modalità di gestione senza tempo della marginalità. Insomma l’economia, la società e le infrastrutture della Toscana devono “svegliarsi”. Ne va del futuro della “next generation”.

Il terzo rischio, che viene anche dalla lettura della crisi da parte del Governo nazionale, è l’eccessiva attenzione alla funzione pubblica piuttosto che alla operatività privata. In una società il rapporto fra spazio pubblico e spazio privato deve essere equilibrato. Il pubblico è la corda “portante” e il privato è la corda “tirante” di una immaginaria “funivia sociale”.  Se prevale troppo il portante la società “tiene” ma non avanza, se prevale troppo il tirante la società avanza più velocemente ma rischia “rotture” nella tenuta. In Italia, ed ancor più in Toscana, nonostante la crisi da coronavirus al pubblico non mancano gli spazi di manovra. La spesa pubblica è oltre il livello di 850 miliardi di euro. Insomma non si sente il bisogno di allargare né gli spazi di competenza né quelli finanziari. Semmai è il mondo privato che necessita di una rivitalizzazione. E anche in quei settori, coma la produzione di servizi per le famiglie, si sente la necessità di finirla con una offerta tutta pubblica, standardizzata, uguale per tutti dove lalibertà di scelta è ridotta all’osso. Il pubblico si deve rafforzare nella sua giusta ed ineliminabile competenza di indirizzo e controllo ma deve lasciare certamente più spazio all’offerta privata. E qui si aprono certamente dei problemi per il centrosinistra toscano dove è ancora troppo forte la componente culturale, prima che politica, che vede nel pubblico la “panacea di tutti i mali”.

L’ultimo rischio è di natura politica ed è connesso intimamente con i rischi reali sottolineati in precedenza. L’alleanza di centrosinistra in Toscana ha messo in evidenza una forte prevalenza del partito egemone, il PD, che copre circa il 65% dei voti mentre la sinistra raggiunge un altro 5%. Se sommiamo i partiti più “riformisti” della coalizione, Italia Viva e Orgoglio Toscano, e i voti dati al Presidente senza riferimento di partito, che in questo caso ci sentiamo di assegnare ad un elettorato più “moderato” che si è riconosciuto nella persona di Giani,  si raggiunge quasi il 30%. A fronte di questa struttura dell’alleanza si ha una distribuzione di 22 seggi al PD, (oltre la maggioranza assoluta da solo) e di 2 seggi a Italia Viva. Interpretare questa forza del PD, da solo, come una egemonia “forte” della strategia e delle idee del PD sull’elettorato toscano sarebbe un gravissimo errore. Le forze più riformiste, pur di fronte ad una certa battuta d’arresto a causa anche della convergenza verso il partito più strutturato di fronte alla “paura della destra”, ci sono, rappresentano  forse la fascia sociale e demografica più dinamica dentro il centrosinistra  e non devono essere sottovalutate dentro l’alleanza.

Quindi oggi, nell’attesa della scelta della Giunta da parte di Giani  il tema non è tanto quello politicistico di quanto debba contare Renzi nel “pacchetto Giunta e Consiglio”, cosa di cui forse i toscani sono giustamente poco interessati ma piuttosto di quale “tasso di riformismo” debba avere il nuovo Governo regionale a fronte delle sfida di crescita e di innovazione del Post covid. E forse di questo secondo tema i toscani hanno un qualche interesse in più.

Insomma attenzione a leggere il risultato elettorale come un “viatico” per il PD a governare da solo e al massimo con qualche aggiunta a sinistra per acquetare un’area tradizionalmente turbolenta. I riformisti sono per indole politica poco turbolenti. Ma sono molto interessati ai contenuti delle scelte di Governo. Non tenere conto della cultura più genuinamente e più esplicitamente riformista del centrosinistra toscano toglierebbe un contributo importante nel rilancio di una Toscana più dinamica e più innovativa.

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Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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