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Dalla maggioranza della politica italiana Draghi è stato accettato più per necessità che per convinzione. Inevitabile che la sua azione ne risenta. Se ora i riformisti non alzano la testa, l’Italia perderà la sua ultima occasione.

I riformisti e la perturbazione leggera

Dalla maggioranza della politica italiana Draghi è stato accettato più per necessità che per convinzione. Inevitabile che la sua azione ne risenta. Se ora i riformisti non alzano la testa, l’Italia perderà la sua ultima occasione.

9 Novembre 2021 da Giancarlo Magni Lascia un commento

Il governo Draghi, rispetto alla situazione politica italiana, ha ancora la caratteristica di un ciclone o si è trasformato in una perturbazione leggera? La domanda che pone Luciano Pallini nell’articolo a fianco è quanto mai calzante e il paragone perfettamente azzeccato. Non c’è dubbio che, alla prova dei fatti, la risposta non può che essere quella a cui arriva Pallini. Purtroppo, anche il governo Draghi, indipendentemente dalla volontà dello stesso Draghi, sta perdendo, per conseguenza del suo “landfall” sul terreno della prassi politica, molta della sua forza propulsiva. È un dato di fatto difficilmente contestabile. Ma, attenzione, questa è una conclusione a cui, come alla fine dell’articolo lascia intendere lo stesso Pallini, arrivano tutti coloro che si collocano in una dimensione culturale riformista, liberal-democratica e fortemente europeista. Per tutti gli altri, e sono la maggioranza, quella che per noi è diventata una “perturbazione leggera” continua ad avere la caratteristica di un ciclone, almeno per le sue potenzialità di sviluppo.

Negli anni, tutti i governi che si sono succeduti, senza grosse differenze fra centrodestra e centrosinistra, a parte le dispute solo ideologiche e salvo pochissime e ininfluenti parentesi, hanno contribuito a costruire una sorta di bunker in cui hanno rinchiuso la società italiana che è stata anestetizzata con la teoria dei diritti che, se portati avanti senza il corrispettivo dei doveri, non fanno altro che dar vita ad una forte forma di assistenzialismo.

Ora di fronte ad una globalizzazione che, piaccia o non piaccia, è un dato di fatto irreversibile, il bunker italiano non regge più. Le sue mura iniziano a creparsi. A fronte di questo ci sono solo due strade. O si cerca di rinforzare le mura o si aprono dei varchi regolari per conciliare la tutela del contesto sociale con il mondo esterno, così come quando per allentare la pressione di un bacino idrico si scarica acqua dalla diga di contenimento.

Con l’incarico a Draghi si è scelto, più per necessità che per convinzione, almeno per molti, di aprire dei varchi, piccoli se si vuole, ma pur sempre dei varchi nel bunker italiano.

Per noi questi varchi sono insufficienti, e vediamo un ciclone che perde forza, per gli altri sono pericolosi, perché temono che questi siano solo un primo passo verso aperture maggiori.

Oggi la situazione politica italiana è a questo punto. Si deve decidere se allargare quei pochi passaggi o richiuderli. Il fatto è che la divisione fra i sostenitori di una tesi o dell’altra non passa più dai partiti come li conosciamo oggi, con alcuni schierati da una parte e gli altri dall’altra, ma attraversa trasversalmente tutte le forze politiche. La ragione di fondo è che le nostre forze politiche, anche quelle nate più recentemente, si rifanno a principi e a idee che andavano bene nel secolo scorso ma che, a fronte del nuovo mondo globalizzato, hanno perso tutta la loro capacità di dare delle risposte, magari insufficienti ma delle risposte.

Nel mondo di oggi il discrimine è fra chi vuole una società aperta e chi chiusa. È da questa scelta che poi discendono a cascata tutte le politiche, da quelle economiche a quelle sociali. Gli “aperturisti”, che potremo definire draghiani doc, sono in minoranza perché il nuovo fa paura, molti hanno timore di perdere le posizioni acquisite e preferiscono rifugiarsi nelle vecchie certezze senza rendersi conto che rifiutando di confrontarsi con la nuova realtà sono destinati ad essere travolti. Se al contrario si governa il processo di apertura si possono creare nuove tutele anche rispetto ai vecchi diritti.

Se la scelta che viene fatta è quella di andare verso l’apertura, Draghi è l’uomo giusto al posto giusto. Solo che non gli si può delegare in toto un compito che appare ed è davvero improbo, bisogna organizzare delle truppe di sostegno, sparigliando l’attuale campo politico e riaggregando uomini e mezzi secondo la linea di demarcazione evidenziata. Assistiamo invece in questa o quella forza politica a timide prese di posizione, Brunetta , Gelmini, Carfagna, per Forza Italia, Giorgetti e i governatori del nord per la Lega, Base riformista per il PD, Renzi, Calenda, Bonino, quasi a livello individuale, e non si arriva a nessun risultato concreto. Sembra quasi che i riformisti provino a tirare il sasso in piccionaia per vedere l’effetto che fa e poi, rimbeccati, rientrino ordinatamente nei ranghi. Prevalgono piccoli interessi di bottega, ambizioni personali inversamente proporzionali al peso politico, calcoli di posti e carriera che non tengono conto degli interessi generali del Paese.

In questa fase la responsabilità di questi riformisti timidi è grande. Se dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica non vengono rimescolate le carte, impossibile che avvenga prima, Draghi sarà inevitabilmente risucchiato da chi punta a ripristinare, magari con qualche aggiustamento di facciata, lo status preesistente e i piccoli varchi che ora sono stati aperti verranno di fatto richiusi o resteranno tali. Draghi sarà costretto ad abbandonare il campo, magari per invogliarlo lo eleggono al Colle, e l’Italia scivolerà verso l’irrilevanza politica ed economica.

Non è più, se mai lo è stato, il tempo della tattica, soprattutto se legata solo a destini personali. In questa fase di grandi cambiamenti, quando il vecchio mondo ha perso forza, ma il nuovo è pieno di insidie, servono uomini di grande spessore e competenza, pronti a giocare la partita a tutto campo.

Draghi è uno di questi. I riformisti devono scendere in campo con decisione. Lanciare nel Paese un progetto e una visione e soprattutto non rassegnarsi alle prime difficoltà. Sulla strada delle riforme è stato perso troppo tempo. Era il 1979 quando Craxi lanciò la sua Grande Riforma. Da allora sono passati più di 40 anni e non si contano i tentativi che sono stati fatti per cambiare le cose ed adeguare al mondo il sistema Italia. Per paura, gelosie, interessi personali, sopravvivenza di vecchie idee, tutti quei tentativi sono stati affossati. Ora sta passando l’ultimo treno. Non è più tempo di indugi. È l’ora di avere il coraggio della responsabilità. E questo, come sempre, è soprattutto il compito di una minoranza, quella riformista. Se il ciclone Draghi si trasformerà definitivamente in una perturbazione leggera la responsabilità sarà solo ed esclusivamente di questi uomini e di queste donne.

 

 

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Info Giancarlo Magni

Giancarlo Magni, giornalista professionista, ha seguito per anni, a Roma, la vita politico-parlamentare. Ha lavorato nella carta stampata, nelle radio e nelle TV. In RAI è’ stato vice-caporedattore del TGR della Toscana. Dal 2012 al 2017 è stato Vice-Presidente del Comitato Regionale per le Comunicazioni della Regione Toscana. Fa parte del Comitato Direttivo della Fondazione "F. Turati", una Onlus che gestisce Centri di Riabilitazione, Rsa e Centri per disabili. E' Presidente dell'ETS Raggio Verde che assiste minori e adulti affetti da autismo.

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