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Solo Riformisti

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Firenze: un nuovo rinascimento

Firenze, magari anche prendendo l'occasione della crisi da Coronavirus, deve ricominciare a investire su sé stessa. Sulla propria intraprendenza. E sulla propria capacità di generare innovazione.

11 Agosto 2020 da Mauro Grassi 1 commento

Ho ripreso in mano “Le proposte degli industriali per lo sviluppo di Firenze” uscite a fine 2018. Sono ancora attuali. Ed è possibile interloquire. Trattero’ due punti che ci sono. E uno che non c’è, ma che secondo me è importante per lo sviluppo di Firenze.

Si parla di Firenze nello stesso modo. Non della “Firenzina” dentro i viali, ma della Firenze metropolitana che può aspirare a competere con le “città globali” del Mondo, o perlomeno dell’Europa, secondo la visione di Saskia Sassen. Città che puntano in alto, ricche di competenze, di sapere diffuso e di conoscenza applicata. E ricche di soggetti individuali e collettivi di qualità in grado di muoversi dentro e per l’innovazione.

Una città metropolitana di 1 milione di persone e che all’occorrenza sa mobilitare risorse e relazioni anche in ambito regionale con i più avanzati poli della conoscenza e dell’industry (che non è solo industria, ma tutto ciò che ruota per la progettazione, realizzazione e distribuzione di beni) come Pisa, Livorno, Lucca, Siena, Prato e altre  realtà regionali.

Ma questa città metropolitana non basta solo individuarla e tracciarne i confini, più o meno flessibili. Bisogna costruirla. E diciamo che negli ultimi anni si è fatto molto poco per questo. Da parte di tutti. E purtroppo se ne  sono visti i risultati. Potremmo discutere a  lungo di tante cose. Mi basta , l’ultima, emblematica, discussione sullo Stadio.

C’è stato di tutto, cose nuove e cose vecchie . Una cosa è risultata decisamente assente: la logica metropolitana.

Il secondo punto importante è la decostruzione e quindi la ricostruzione della città. Volumi zero è una grande intuizione. Da perseguire. Ma guai a pensare che volumi zero possa voler dire “città ferma”. Le città ferme muoiono. Si deprimono. E allora ci vogliono strumenti che impongono volumi zero ma dentro processi di cambiamento veloci, progettati con una qualità urbanistica e architettonica ricercata e partecipati dalla comunità senza indulgere alla cultura del “veto”. E  che favoriscono la rigenerazione e la riqualificazione urbana tenendo conto della semplice verità che i privati devono trovare convenienze adeguate per smuovere gli investimenti. Semplice verità, spesso dimenticata. E città nuova vuol dire città con hardware nuovi ma anche governata da software nuovi. La smart city significa andare verso una città bella, verde, accogliente e, cosa più importante,  dove le strutture ruotano intorno al cittadino e non viceversa. Una sorta di paradiso? Forse no, ma qualcosa si può fare per migliorare la qualità della vita a Firenze. Rafforzando quello che c’è di buono, e cambiando ciò che non va.

E poi cosa manca, o perlomeno è un po’ in ombra nella proposta di Confindustria. La soggettività degli attori, siano essi cittadini, imprese, istituzioni, associazioni o semplici gruppi di interesse.

Lo sviluppo è un fatto strutturale. Ci fa pensare a macchine e processi che si mettono in moto e avanzano producendo ricchezza. Ma in quelle macchine e in quei processi ci sono gli individui. E i gruppi sociali. Bisogna che Firenze ritrovi il suo spirito “sviluppista”, che è stato alla base dei successi e delle risposte alle crisi, che sono avvenute nella lunga storia pre e post unitaria. Bisogna che si rafforzi la cultura della selezione dei migliori, dei più intraprendenti e non degli affaristi o di chi sa sfruttare , banalmente, la crescente rendita urbana. Bisogna che i centri del sapere facciano a gara a sfornare “geni leonardeschi”, anche in sedicesimi, piuttosto che burocrati della conoscenza e del sapere costituito. Bisogna che fare impresa ridiventi una voglia diffusa di affermazione e di successo e non un semplice modo per investire, magari con garanzie crescenti e sicurezza, i propri risparmi.

Insomma Firenze, magari anche prendendo l’occasione della crisi da Coronavirus, deve ricominciare a investire su sé stessa. Sulla propria intraprendenza. E sulla propria capacità di generare innovazione.

Poi ben vengano gli strumenti del recovery fund mirati a sostenere ora quella ora l’altra attività. Ma prima di tutto, nello sviluppo, c’è l’uomo con la sua voglia di successo  e il suo impegno per affermarsi.

Insomma ai giovani va ricordato che il Duomo non nasce dalla ricchezza della città ma è la ricchezza della città che nasce da quelli che hanno saputo ideare una simile bellezz

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Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Giorgio Federici dice

    11 Agosto 2020 alle 21:25

    Dai mali possono derivare dei beni (Ulrick Beck)
    La pandemia ha rilanciato il progetto di Federazione Europea e può far sperare di affrontare problemi Prima insolubili come Quello del Meridione..
    Condivido le proposte.. Firenze e la Toscana saranno inevitabilmente meno attrattive per i turisti ma dovrebbero diventalo di piu per i ricercatori e gli innovatori.

    Rispondi

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