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Solo Riformisti

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Ente che vai, numeri che trovi

Caos totale sulle cifre della pandemia. Ogni ente pubblico dà i suoi numeri e smentisce quelli degli altri. L’Rt è sempre riferito al passato, anche di tre settimane. Che scelte si possono fare se i dati sono ballerini?

26 Maggio 2020 da Paolino Casamari Lascia un commento

Un ministro che non sta mai zitto (ogni volta per il Pd, almeno al Nord, sono dolori, ma non credo che al Sud vada meglio) ci ha fatto sapere: “Un sistema di monitoraggio ci consente di sapere se una regione è a basso, medio o alto rischio. Se una regione è ad alto rischio di sicuro non potrà ricevere ingressi da altre regioni”. Forse si riferiva al famoso Rt, ovvero quel numero che se resta sotto 1,0 indica che l’epidemia si sta spegnendo, e invece l’epidemia riprende vigore se è sopra 1,0.

Ora, leggendo i giornali (“Sole 24 Ore” la Bussola di M.T. Island) si evince che quel dato è fasullo, poiché si riferisce sempre a dati vecchi di 24 giorni. Lo stesso Istituto superiore di sanità ci avverte che “Dopo il 26 aprile il dato è da considerarsi incompleto”.  “Il Sole 24 Ore” ci spiega: “Il 20 maggio, abbiamo come ultimo dato ufficiale quello pubblicato il 14, elaborato il 12 e relativo al 26 aprile: 24 giorni fa. Di fatto non ci serve, perché riflette l’immagine di un mondo (in pieno lockdown) che non esiste più…Conoscere l’Rt di tre settimane prima equivale più o meno a leggere un libro di storia.”. Per cui il famoso Rt è vecchio e viene calcolato non su tutti i contagi, ma su una platea ridotta di contagi, poiché non si conosce la data di inizio dei sintomi di tutti i  contagi   Scrive sempre “Il Sole 24 ore: “Sarebbe bello poter avere un aggiornamento diverso, magari come quello che viene puntualmente fornito, in Germania, dal “Robert Koch Institute”: rapido, preciso e affidabile.”. 

Ma lo stupore sui dati disponibili aumenta quando leggo che un ente pubblico mette in discussione i dati forniti da un altro ente pubblico.  In un rapporto dell’Inps (20.5.2020) è scritto: “La quantificazione dei decessi per Covid-19, condotta utilizzando il numero di pazienti deceduti positivi fornito su base giornaliera dal Dipartimento della Protezione Civile, è considerata, ormai, poco attendibile in quanto influenzata non solo dalla modalità di classificazione della causa di morte, ma anche dell’esecuzione di un test di positività al virus. Inoltre, anche il luogo in cui avviene il decesso è rilevante poiché, mentre è molto probabile che il test venga effettuato in ambito ospedaliero è molto difficile che questo venga effettuato se il decesso avviene in casa.”. Quindi secondo i calcoli dell’Inps, per l’epidemia in atto, ci sono 18.971 decessi in più di quelli dichiarati dalla Protezione civile (27.938 in un periodo dal 1 marzo al 30 aprile).

Lo stupore è tale per cui sono andato a rileggermi un rapporto dell’Istat (4 maggio)  prodotto insieme all’Istituto superiore di sanità che scriveva: ”considerando il periodo 20 febbraio-31 marzo, si osserva a livello medio nazionale una crescita dei decessi per il complesso delle cause del 38,7%: da 65.592 a 90.946, rispetto alla stessa media del quinquennio 2015-2019. L’eccesso di decessi è di 25.354 unità, di questi il 54% è costituito dai morti diagnosticati segnalati alla sorveglianza Covid-19 (13.710). Esiste una quota ulteriore di circa altri 11.600 decessi per i quali possiamo, con i dati  oggi a disposizione, solo ipotizzare tre possibili cause: una ulteriore mortalità associata  a Covid-19 (nei casi in cui non è stato eseguito il tampone), una mortalità indiretta correlata a Covid-19 (decessi da disfunzioni di organi quali cuore e reni possibile conseguenza della malattia scatenata dal virus in persone non testate come accade per analogia con l’aumento della mortalità da cause cardiorespiratorie in corso di influenza) ed infine una mortalità indiretta non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero nelle aree maggiormente affette”. Forse Fontana, Gallera e Giorgetti non hanno letto questo bieco attacco alla Lombardia, firmato da due enti pubblici.

Ora, secondo la Protezione civile al 15 aprile, in tutta la Lombardia c’erano 11.377 decessi. Guardo una pubblicazione dell’Istat, con i dati di 1.067 comuni della Lombardia (pari al 71% di tutti i comuni lombardi) in cui si rileva che tra il 1 gennaio e 15 aprile, in media, nel quinquennio 2015-2019, i morti sono stati 25.627 ; mentre nello stesso periodo del 2020 sono stati 40.969, cioè 15.702 in più pari al 162%: Le provincie con maggiori incrementi sono Bergamo (275%), Cremona (235%), Lodi (216%), Brescia (197%).  Ci sono dunque 4.325 decessi in più, e solo in tre quarti della Lombardia. Mah!?

La politica, o per meglio dire, le scelte politiche, dovrebbero basarsi sulla conoscenza della realtà, su dati reali e veritieri della situazione socio economica, e sanitaria, del Paese. Ma il nostro è davvero uno strano Paese: ogni ente pubblico dà i numeri.

(questo articolo è stato ripreso dal sito http://www.ilmigliorista.eu con il consenso dell’amministratore del sito)

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