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Solo Riformisti

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Draghi, un messaggio duro ma realista

Il post-Covid è una scommessa per tutto l’Occidente. Servono strumenti nuovi e politiche diverse non solo per rilanciare l’economia e avviare la ripresa ma anche per difendere il nostro modello di società. L’Italia non può restare fuori da questa battaglia.

22 Dicembre 2020 da Mauro Grassi 2 commenti

Il Recovery Fund si chiama in effetti New Generation Eue  non è un fatto nominalistico. Ma è un elemento di sostanza. L’Europa ci dice che dobbiamo passare, in termini di approccio, dall’idea di sanare la devastazione economica dovuta alla pandemia alla ricostruzione e al rilancio di una struttura produttiva e istituzionale per le future generazioni. Come ha detto Draghi con la sua ricerca è stato giusto e necessario pensare fino ad oggi a ristorare le perdite e a sostenere chi si è trovato travolto dalla crisi ma da domani la musica deve cambiare. Una semplice frase dà il senso del nuovo percorso che deve prevalere: non è più un problema di liquidità ma per molte imprese si parla oramai di un problema di insolvenza. Ed era abbastanza chiaro a tutti, anche nel dibattito che accompagnava le manovre di sostegno all’economia da parte del Governo. Molti imprenditori dicevano che si dovevano costruire strumenti di sostegno attraverso risorse a fondo perduto e non attraverso garanzie o prestiti diretti. Appunto perché l’indebitamento susseguente ad incrementi di liquidità temporanea per le imprese poteva far superare loro la crisi congiunturale ma le avrebbe lasciate completamente indifese nel momento di una eventuale ripresa. Ed oggi siamo a questo punto. La ripresa non è ancora avvenuta. Anzi ci sono avvisaglie di un acuirsi delle restrizioni che potranno durare, a diversi livelli di gravità, per tutto l’inverno e le imprese, specie in alcuni settori, continuano a non vedere l’uscita dal tunnel. Il messaggio di Draghi, è duro ma realista. In questa situazione continuare a mettere in campo strumenti per la liquidità può essere velleitario. E’ come dare cibo e acqua ad una persona che sta morendo di una malattia. Può mettere in pace la coscienza ma non aiuta il soggetto a vivere un’ora di più. E allora bisogna passare dalla fase dell’aiuto a pioggia, una sorta di helicopter money sulle imprese, alla fase più difficile ma più significativa della selezione dei soggetti più forti o più capaci di diventare forti.  Insomma è l’ora di preparare il futuro del paese ed è chiaro che nel dopo covid non potrai portare tutto quello che c’era prima e non potrai non aggiungere soggetti, settori e comportamenti che prima non c’erano. Insomma l’innovazione distruttrice di Schumpeter appare in questo caso appropriata. Ed è l’ora, dice Draghi, di passare a questa nuova fase.

I soggetti nuovi sono ovviamente le imprese a cui viene chiesto, dopo tanto parlarne in Convegni e Seminari scientifici, di rafforzare la propria struttura economica finanziaria e organizzativa. E’ un discorso che viene da lontano. E’ ovvio che le imprese, come tutti gli organismi, nascono piccole. Ed è questa una fase che va anzi rafforzata. Perché abbiamo bisogno di start-up, di nuovi imprenditori, di nuove idee. Ma solo in Italia abbiamo un contesto istituzionale che spinge “a non crescere” e a restare nella confort zone della propria, piccola, dimensione. Abbiamo bisogno quindi di un nuovo contesto istituzionale (regole, contratti, fisco, etc) e di un nuovo approccio al rafforzamento strutturale, che non è solo dato dalla dimensione, da parte dell’imprenditore. Lo abbiamo visto in questa vicenda ma anche dopo la crisi finanziaria del 2008 che la fragilità dell’impresa regge difficilmente alla turbolenza del sistema che sembra diventato il carattere specifico di questa fase dell’economia mondiale.

I settori sono stati scombussolati prepotentemente da questa crisi. Alcuni si sono rafforzati o si rafforzeranno (la sanità, il farmaceutico, l’agroalimentare, le piattaforme on line), altri sono stati toccati duramente ma sembrano in grado di riprendere un proprio ruolo (l’industria manifatturiera) ed altri ancora stanno vivendo, in seguito alla crisi ma non solo, profondi processi di ristrutturazione e di cambiamento dove non è facile ancora capire cosa resterà del passato e cosa si proporrà nel futuro (turismo, commercio, etc). E poi ci sono i nuovi settori che bussano alla porta, legati in qualche modo alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale e alle altre tecnologie emergenti, che non si sa dove porteranno il sistema ma si vede fin da ora che lo porteranno oltre e altrove dalle nostre economie consolidate. Giocare in difesa in questo caso, difendendo ad oltranza il “passato” senza proiettarsi nel “futuro” sarebbe un errore strategico e rappresenterebbe un’occasione persa di fronte alla potenza, non insignificante per un paese come l’Italia, delle risorse messe in campo dall’Europa.

Ed infine i comportamenti. L’Italia è un paese vecchio per demografia, con una pubblica amministrazione che, a parte alcune isole felici, mostra ritardi evidenti nella struttura tecnologica e organizzativa e nella qualità delle risorse umane e con una atmosfera sociale poco propensa alla innovazione e al cambiamento strutturale. Insomma siamo un paese conservatore rispetto al proprio modello di società per cui viene privilegiata la difesa di ciò che c’è rispetto all’opportunità di ciò che potrebbe esserci. Deriva da questo il basso investimento nell’istruzione, la mancanza di approcci meritocratici nello sviluppo delle carriere, di tutti i tipi pubbliche e private, e una tendenza naturale al rifiuto del rischio. E’ difficile pensare di modificare una “atmosfera sociale” in poco tempo. Ma il rilancio “post Covid” potrebbe essere l’occasione per aprire la società italiana, eliminando quanto più possibile il peso e il condizionamento delle diverse “tribu’” (così le chiamava Hayek), e sviluppando, almeno nelle aree più innovative della società atteggiamenti più meritocratici e meno avversi al rischio. Insomma preparare, partendo da alcune aree più significative, la società di domani che per sopravvivere nel mondo globale, senza eccessive perdite di benessere relativo, dovrà essere guidata meno dalla difesa acritica dell’esistente e più propensa al cambiamento. Attenzione essere competitivi nel mondo non deve voler dire per l’Occidente avanzato diventare tutti cinesi, come sembra suggerire il bellissimo film documentario “Ohio, fabbrica americana” , e quindi con la perdita di peculiarità legate al welfare, alla qualità della vita e del lavoro. Ma deve voler dire rendere competitivo un sistema fondato sulla tecnologia, sulla qualità delle risorse umane e sulla forza di un sistema democratico, coeso e rispettoso dei diritti. E’ questa la scommessa che gioca l’Occidente nella battaglia geopolitica in atto a livello globale.

Insomma quando Draghi parla di una fase nuova in cui bisogna smettere di aiutare chi non ce la può fare più, non propone un darwinismo sociale di impianto liberistico. Ma parla semmai di come difendere nel mondo il nostro modello di società che è messo a dura prova se non trova, in questa necessaria difesa, strumenti nuovi per innalzare la competitività di sistema rispetto agli altri modelli che si affermano con forza e aggressività a livello internazionale. L’Italia non può, e non deve, restare fuori da questa battaglia, importante e decisiva per le future generazioni, di riposizionamento strategico. Pena un declino che non sarebbe solo economico ma anche sociale e culturale prima di tutto in termini di diritti individuali.

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Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Gian paolobastianellixxxx dice

    19 Dicembre 2020 alle 00:27

    Sono parole di un grande statista vi draghi e la persona che può rilanciare l’Italia basta con i sussidi redito quota 100 io sono per DRAGHI

    Rispondi
  2. David dice

    23 Dicembre 2020 alle 11:20

    Parole giustissime quelle di Draghi, tuttavia c’è da tener presente che in Italia ci sono strutture validissime che hanno dei mali interni di gestione che portano alla autodistruzione. Spesso queste strutture di industria sono gestite dalla politica che è inadeguata ed incompetente per lo scopo e di conseguenza portano alla chiusura di questi settori. Si deve intervenire rapidamente in modo appropriato altrimenti i danni saranno permanenti con perdite di migliaia di posti di lavoro che migreranno in altri paesi concorrenti come è stato fatto nel passato recente da dei soloni osannati dai dai max media ma che allo stato di fatto hanno provocato dei danni irreparabili alla struttura portante dell’industria Italiana. Queste industrie adesso molto ridimensionate, in una crisi così profonda, non avrebbero avuto grossi danni anzi sarebbero state fonte di reddito sicuro e posti di lavoro di prima qualità per migliaia di persone che adesso si devono arrangiare per sopravvivere in questa situazione.

    Rispondi

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