“Dissidenti” è una parola magica, doppia: li compiangi e li invidi. Evoca esili, torture, reclusioni, persecuzioni che senza remore arrivano all’avvelenamento e alla morte del nemico del regime. Ma rappresenta anche un tripudio di identità, una via illuminata, una rara fedeltà a se stessi. Vernetti scrive per Rizzoli un libro che porta orgogliosamente questo titolo “Dissidenti”: tutto il volume di quasi 350 pagine esprime la determinazione a dire una parola utile per le ormai centinaia di migliaia di persone di tutti i credo, colori e religioni in fuga, in lotta, in esilio. Il libro lo dice subito: le voci libere di Russia, Cina, Hong Kong, Tibet, Iran, Turchia, Siria, Bielorussia, chiedono di agire in un panorama sempre più aggressivo; dagli anni ’70, la persecuzione e quindi la fuga sono diventate direttamente proporzionali alla capacità delle grande dittature di invadere ogni spazio, di infiltrare l’opinione pubblica coi nuovi media, di usare le armi della violenza fino all’assassinio dei giornalisti, degli attivisti, dei politici ogni volta che ci riescano, ovunque nel mondo. Questa esplosione di violenza totalitaria è adesso arrivata fino alla guerra russa e all’esplicita strategia dell’espansione cinese, due forme di escalation dittatoriale evidente di cui in breve tempo tutti possiamo essere vittime.
Dunque Vernetti, per spiegare il suo obiettivo, ricorda quello che disse Natan Sharansky nel 1986 a Ronald Reagan uscendo dal carcere diretto infine in Israele: “Quando eravamo in cella e sentivamo che vi battevate per noi, capimmo di non essere più soli e che la sorte dei nostri carcerieri era segnata”. Vernetti, che è stato Sottosegretario agli Esteri e crede nella politica vuole insomma che “i tanti tantissimi dissidenti dei regimi dittatoriali in fuga e in esilio… non vengano dimenticati o addirittura cancellati da una storia riscritta a piacimento dai regimi stessi, resi perfino non più rintracciabili neanche dai motori di ricerca”. L’autore così ha viaggiato, incontrando in un pellegrinaggio vasto quanto il mondo tutti i possibili dissidenti, e li racconta uno a uno dopo averci presentato l’immensa carta geopolitica impregnata di sangue. I ritratti ci mostrano da vicino le vittime, ed è esaltante, ma la prima parte ripercorre la marcia mondiale delle dittature, ed è stupefacente.
Il centro dell’attenzione di Vernetti sono la Russia e la Cina, ed è alla Cina che egli affida il ruolo di ingegnere di una geopolitica mondiale che può portare all’occupazione del pianeta, a un’occupazione senza confini. La Cina di Xi Jinping chiude ogni forma di democrazia in nome del “rispetto assoluto della sovranità nazionale, un modello di sviluppo alternativo al sistema di Bretton Woods. Un modello che ha affascinato Paesi africani, mediorientali, asiatici che apprezzano finanziamenti allo sviluppo incuranti della tutela dei diritti” o che propendono alla corruzione. Così la nuova Via della Seta è stata fantasticata come un regalo della “saggezza cinese” da parte di Paesi delusi dall’Occidente, fino al risveglio. Esso in molti casi (Gibuti, Maldive, Sri Lanka, Malaysia, Bangladesh, Kenia) ha condotto alla cancellazione del finanziamento cinese da strutture tese soltanto ad allargare il soft power di Xi. L’offerta fantasmagorica di progresso economico e scientifico contrabbanda l’idea che il successo economico sia la prova del superamento delle democrazie liberali. L’esercito aspetta dietro l’angolo, come nel caso di Taiwan, oggetto di una crescente minaccia militare. La Russia è oggetto per Vernetti di un’analisi altrettanto dura, di cui naturalmente Putin con le sue guerre di espansione è il protagonista, con la sua teoria della riconquista dello “spazio vitale perduto” e la serqua di interventi militari fino a questo tragico e colossale contro l’Ucraina. Utilmente Vernetti ripercorre la marcia di Putin che da decenni crea repubbliche fantasma nel Vecchio Continente, e i furiosi interventi che cominciano con la Crimea nel 2014 per punire l’europeismo, fino all’Ucraina. Vernetti ci aiuta a ricostruire tutto l’itinerario storico della belligeranza russa che ci lascia stupefatti, da subito dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica; e con essa, la fuga degli intellettuali, il ruolo di rifugio di Vilnius, capitale della dissidenza anti russa, l’uso dell’assassinio per veleno e per omicidio.
Già nel 1990 la Russia combatte con Moldavia e Romania: è vergogna averlo ignorato, lasciò sul terreno oltre 5000 morti fino alla nascita della Transistria russodipendente. L’autore da un’analisi accurata della genesi e dello stabilizzarsi dell’autocrazia iraniana, e del prepotere turco creato dalla svolta autoritaria di Erdogan, arriva nel lontano Oriente, e ci sbatte di fronte al fatto che, mentre ci vantiamo dei nostri progressi, si è avuto un pesante arretramento della democrazia nel mondo. Apre una finestra di speranza sul Patto di Abramo che si oppone alla crescente determinazione strategica di un asse ormai molto attiva di dittature persecutorie: tutta la seconda parte del libro è dedicata ai protagonisti che hanno sofferto sulla loro carne le conseguenze di questo disastro e che seguitano a lottare mentre altri, coraggiosi e audaci come loro, sono morti sulla linea del dovere.
Vernetti intervista e racconta i dissidenti cinesi: i cinesi stessi, i tibetani, i cristiani, falung gong, uiguri. Wye’r Kaixi, uiguro, amico di Liu Xiabo, premio Nobel morto in carcere, racconta dei suoi correligionari rinchiusi nei “campi di rieducazione” nel numero di due milioni, mentre l’intero Xinjang è sigillato e occupato militarmente. Tenzin Gyatso il XIV Dalai Lama del Tibet che è fuggito in India a cavallo con una piccola scorta di soldati tibetani racconta il suo popolo di monaci buddisti.. Vernetti racconta di dissidenti perseguitati a Hong Kong per aver indossato abiti della firma bandita”Dolce e Gabbana”,e non trascura di denunciare la vicenda della gestione del Covid che ha causato oltre ai milioni di morti e anche suicidi e sparizioni di chi ha cercato di rivelare la reclusione del regime. Negli USA Vernetti incontra la famosa scrittrice Azar Nafisi, una letterata iraniana in esilio, autrice di “Leggere Lolita a Teheran” un libro di cui lei è il ritratto vivente: donne imbevute di cultura occidentale come la si può assorbire leggendo “Lolita”, “Il Grande Gatzby”, “Orgoglio e Pregiudizio”, che resistono per non lasciarsi incartare la testa e il volto dalla dittatura islamista. Abbiamo citato dal lavoro insieme enciclopedico e insieme appassionato di Gianni Vernetti solo alcuni esempi. Gli esempi russi abbondano e sono disperati ma decisi, come Novolny. L’autore ed io spesso ci siamo incontrati sulla linea del sostegno ai dissidenti, da Sharansky alla Politovskaya, a Vaclav Havel, alla Nafisi, o ai coraggiosi dissidenti palestinesi o siriani o turchi o libanesi che Gianni descrive. Nella mia esperienza sono parte di una famiglia meravigliosa che mentre le istituzioni balbettano ci indica la strada in tempi di guerra. Quella della resistenza fino alla fine.
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