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Debito pubblico senza freni

Per l’attuazione delle riforme, si prevedono costi per 235 miliardi di euro, spalmati fino al 2026. Di questi, 165 miliardi verranno da prestiti accesi con la stessa Europa, cioè con aumento dell’indebitamento.

7 Giugno 2021 da Carlo Manacorda 1 commento

Le circa 2.500 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (269 di testo più tabelle e schemi) tratteggiano le riforme alle quali l’Italia deve mettere mano per riprendere vigore dopo il torpore pandemico: della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, per la Semplificazione e Razionalizzazione della legislazione, per la Promozione della Concorrenza, per Rafforzare la Coesione economica e sociale del Paese, ecc.

Per l’attuazione di queste riforme, si prevedono costi per 235 miliardi di euro, spalmati fino al 2026. Questi costi ― se i progetti di riforma si svilupperanno regolarmente ― saranno pagati con fondi europei (Next Generation EU e React-EU, il Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa). 70 miliardi circa saranno dati a fondo perduto. La differenza di 165 miliardi perverrà da prestiti accesi con la stessa Europa, cioè con aumento dell’indebitamento. I 165 miliardi di euro andranno cioè ad aggiungersi ai già 2.700 miliardi di euro del debito pubblico che risultano dagli ultimi accertamenti della Banca d’Italia.

Ulteriori elementi sull’andamento del debito pubblico sono offerti dalla Relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio dell’aprile 2021. Nel giudizio sul Documento di Economia e Finanza dello Stato 2021, l’Ufficio evidenzia che le emissioni dei titoli di Stato sono stimate, nel 2021, in 616 miliardi, di cui: 223 miliardi per la copertura del fabbisogno statale e 393 miliardi per il rimborso dei titoli in scadenza. Nella stima, si tiene conto anche dei prestiti europei di 19 miliardi già ottenuti nell’ambito del programma SURE per sostenere l’occupazione e del Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza. Ovviamente, soltanto a consuntivo si potrà dire quanto queste emissioni peseranno sull’aumento del debito. Ma, certamente, avranno un loro peso.

La stessa Relazione procede inoltre ― come richiesto dalla Commissione europea ― ad una ricognizione delle garanzie dello Stato date, nel 2020, per consentire alle imprese di disporre di liquidità per fronteggiare la crisi dell’emergenza sanitaria. Le garanzie statali sono passate da 86 miliardi nel 2019 a 216 miliardi nel 2020. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio fa, opportunamente, notare che l’accumulo di garanzie pubbliche può rappresentare un rischio per la sostenibilità delle finanze pubbliche. Infatti ― come previsto dalle norme, e ben presente nel bilancio delle imprese ―, in caso di mancato pagamento del debito da parte del debitore, lo Stato è tenuto al rimborso del capitale da lui garantito. Ove si verificassero situazioni di questo genere, in assenza di risorse, potrebbe esserci la necessità di ricorrere a ulteriore indebitamento. Il debito pubblico cresce dunque (o potrebbe crescere) senza freni.

Tenendo conto del peso del debito pubblico su tutta l’economia del Paese e considerando che non è pensabile, in un contesto economico ancora fortemente condizionato dalla ripresa post-pandemica, ipotizzarne riforme specifiche, non sembra fuori luogo chiedersi se, in quale maniera, non si possa comunque determinarne un contenimento o, meglio, una diminuzione. Ce lo chiedono i partner europei e, in generale, i mercati attenti all’ammontare del debito pubblico per giudicare l’affidabilità del Paese a restituire i prestiti ottenuti. E, sotto questo profilo, già ora il giudizio sull’Italia non è esaltante.

Il PNRR calcola che i movimenti finanziari conseguenti all’attuazione delle riforme e all’effettuazione degli investimenti da esse previsti determinino un impatto macroeconomico in termini di crescita del PIL di quasi 13 punti percentuali nel periodo 2021-2026. Se ci sarà la crescita del PIL, cioè del valore aggiunto generato dalla produzione ― ma le variabili al proposito sono molte ―, si potranno certamente avere effetti benefici sulla riduzione del debito in termini di maggiori entrate fiscali o di altri riequilibri del sistema finanziario pubblico. Il PNRR prevede ancora che, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie e di strumenti più sofisticati di data analysis derivanti dagli investimenti contemplati dalle riforme (segnatamente, digitalizzazione), si potrà condurre una lotta sempre più serrata all’evasione fiscale. Non c’è dubbio che maggiori entrate fiscali attraverso il recupero dell’evasione possono contribuire alla diminuzione del debito.

Uno strumento certamente idoneo a riscrivere le entrate della tassazione per il bilancio dello Stato è, sicuramente, la riforma fiscale. Tuttavia, il PNRR la rimanda a un momento successivo. Per attenuare l’immagine negativa del debito pubblico, talora si ricorre a eufemismi quali la distinzione tra debito pubblico buono e debito pubblico cattivo. Sono sottili distinzioni politiche ma non economiche poiché la parola debito significa pur sempre quattrini da restituire a chi li ha prestati, senza distinzioni semantiche o traduzioni in percentuali astratte, che nulla producono sul debito reale, cioè quello in soldoni.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi afferma che questo è tempo di dare soldi ai cittadini e non di chiederne loro. In generale, la politica non si tira mai indietro quando si tratta di spendere soldi pubblici. E spenderli attraverso un maggiore indebitamento non è mai stato così facile come ora da quando sono stati sospesi i vincoli europei sul debito e da quando la Banca Centrale Europea (BCE), per sostenere le economie durante la pandemia, ha deciso i massicci programmi di acquisti di titoli di Stato.

Posto che la BCE deterrà, nel 2022, titoli del debito pubblico italiano per oltre 800 miliardi di euro, e che questo fatto può anche tranquillizzare per quanto riguarda una parte del debito pubblico (anche se lo Stato non fosse in grado di restituirli, non sarà certo la BCE a pretenderlo), non si deve dimenticare che, cessando lo stato pandemico, verosimilmente la BCE ridurrà o cesserà gli acquisti di titoli di Stato. Inoltre, gli Organismi europei fanno intendere che è assai probabile che dal 2023 si ritornerà ai vincoli di bilancio ante Covid(Patto di Stabilità) forse con modifiche ma, certamente, con obbligo di ridurre il debito pubblico. Verificandosi questi fatti l’Italia, per ridurre l’enorme debito pubblico accumulato, dovrà sicuramente sottrarre risorse all’economia, con possibili riflessi negativi sulla ripresa interna.

Il PNRR, dopo aver affermato che i giovani sono tra le categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche dell’epidemia del Coronavirus, prevede numerosi progetti per superare questa situazione volti, in particolare, al reinserimento dei giovani nel lavoro. Sarebbe auspicabile che debito pubblico e costi conseguenti non vanificassero la realizzazione di questi progetti.

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Info Carlo Manacorda

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Torino, è stato Direttore di Enti pubblici, Presidente di Società private, Componente di Consigli di Am-ministrazione, ed ha rivestito altre cariche pubbliche. E’ stato Docente di Contabilità pubblica e di Scienza delle Finanze presso le Facoltà di Econo-mia e di Giurisprudenza dell’Università di Torino, Componente del Nucleo di Valutazione della stessa Università e Presidente del Nucleo di Valutazione dell’Università della Valle d’Aosta. E’ stato Componente dell’Organismo di Vigilanza di Finpiemonte Partecipazioni S.p.A. e iscritto nel Registro dei Revisori contabili. E' Autore di oltre 150 pubblicazioni (libri e saggi) in ma-teria di Economia e Contabilità pubblica, Diritto pubblico, Organizzazione e Gestione delle Amministrazioni pubbliche e private. Ha scritto e scrive su Giornali, Riviste e altri periodici.

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