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D’Alema e le costole della sinistra

I guai maggiori il vecchio Pci li ha fatti da morto. Quando non si è voluto concedere una naturale evoluzione socialdemocratica. Ha preferito vie confuse e pasticciate alle quali si deve, oggi, se l’Italia è in un vicolo cieco.

22 Dicembre 2020 da Nicola Cariglia Lascia un commento

L’antropomorfismo applicato alla politica deve essere, per Massimo D’Alema, una tentazione invincibile. Dopo avere scoperto, negli anni ’90 del secolo scorso, che la Lega era una costola della sinistra, rieccolo ora ad averne scoperta un’altra di costole della sinistra: il Movimento a 5Stelle.

Confesso: di D’Alema sono un grande estimatore. E ciò che ad altri lo rende antipatico (la spigolosità, il carattere scostante, che è ben diverso da arrogante, il suo difficile rapporto con i giornalisti, a me lo rende irrimediabilmente simpatico. Quanto al livello, ai politici attualmente in servizio permanente effettivo, se lo vogliono vedere, occorre il binocolo. La scoperta che anche i 5Stelle sarebbero una costola della sinistra l’ha resa nota nel corso di una intervista, pubblicata sul Corriere della Sera e rilasciata ad Antonio Polito. Chi l’ha letta non ha potuto non rendersi conto che l’ex presidente del consiglio e segretario del PDS vola alto: non parla delle beghe da cortile, ma dei problemi planetari; non dei rapporti tra Conte e Renzi o Salvini e Di Maio. Siamo molto più sù: il clima, il destino della civiltà occidentale, le superpotenze politiche ed economiche a livello mondiale quali Cina, Russia, Stati Uniti e le potenze regionali quali Iran e Turchia.

E allora significa che abbiamo ancora un enorme problema a sinistra se D’Alema dichiara oggi che i 5Stelle “« quando prendono tre/quattro milioni di voti alla sinistra e vincono al Sud sulla base di un programma di redistribuzione del reddito, di destra non sembrano»; così come dichiarava nel 1995 che la Lega “È una nostra costola…e si esprime attraverso un anti-statalismo democratico e anche antifascista che non ha nulla a vedere con un blocco organico di destra“.

Vuol dire che a cento anni esatti dalla nascita del PCI crede ancora che ci sia una sola sinistra e, per giunta, quella sbagliata? Con i tratti illiberali della Lega, dei 5 Stelle e, dunque, dei vecchi partiti comunisti?

Eppure, è lo stesso D’Alema che nel novembre del 1999 fu promotore di un incontro di due giorni, a Firenze, di sei capi di Stato e di governo – Bill Clinton, Massimo D’Alema, Tony Blair, Lionel Jospin, Gerhard Schroeder, Fernando Cardoso. Tema dell’incontro: “Il riformismo nel XXI secolo”. Tanta la sua capacità di guardare i vasti orizzonti quanta la miopia nell’osservare i fatti del cortile di casa? Credo, piuttosto, che il problema sia sempre il solito. Il PCI, dopo la caduta del muro di Berlino ha cambiato più volte nome: ma gli ex comunisti non hanno mai saputo fare i conti con il proprio passato. Avrebbero preso atto che esisteva da sempre una sinistra diversa, laica e riformista. Cioè socialdemocratica e capace di fare progredire sul piano dei diritti e del benessere i Paesi che riusciva a governare. Un grande come Umberto Terracini, tra i promotori della scissione di Livorno, da cui nacque il Pci, ammise l’errore. Il risultato è che i guai maggiori il vecchio Pci li ha fatti da morto. Quando non si è voluto concedere una naturale evoluzione socialdemocratica. Ha preferito vie confuse e pasticciate alle quali si deve, oggi, l’assenza di una alternativa nitida al centrodestra. E non sarà rincorrendo potenziali elettori tra le fila dei 5Stelle o della Lega che si potranno creare le condizioni per fare uscire il nostro Paese dal vicolo cieco.

(articolo tratto dal giornale online Pensalibero www.pensalibero.it)

 

 

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