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Solo Riformisti

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Contributo di solidarietà: perché no?

Una boutade di stampo grillino quella di Graziano del Rio. Prendere poco, colpire pochi, così tanto per far vedere che ci siamo. Se contributo di solidarietà ha da essere, deve essere fatto in modo diverso.

14 Aprile 2020 da Mauro Grassi 1 commento

Spiace che uno dei migliori politici del PD, Graziano del Rio, sia il proponente dell’ultima boutade di “stampo grillino” presentata come contributo di solidarietà a favore delle persone in difficoltà. Evidentemente lo stare al governo con il M5s per il Pd non è senza costi. In primo luogo di cultura politica. Le tasse sono una cosa seria. Checché ne pensino alcuni rivoluzionari da strapazzo i soldi che i cittadini hanno in tasca sono legittimamente, a meno che non siano ottenuti con dolo, sotterfugi e intrallazzi, dei singoli proprietari e non dello Stato. Lo Stato è legittimato a imporre tasse ma quando lo fa deve avere la legittimazione per farlo e deve, più che altro, farlo in nome di un qualche progetto e non sulla base di una pulsione populistica per “far vedere al mondo la propria presenza”.

La proposta presentata dal PD è del tutto sconclusionata e del tutto fuori dei tempi della politica. Per diversi motivi.

Il primo, più evidente, è che si inserisce nel pieno della crisi pandemica come un livello di improvvisazione estrema e con un livello di legittimazione basso. Lo Stato ha messo in moto poche risorse, non ha distribuito che pochissime briciole solo per le persone in estrema difficoltà (i buoni spesa) e non trova di meglio che parlare di una nuova tassa. Peraltro che si riferisce ai redditi dell’anno prima e quindi anche decontestualizzata rispetto alle possibili ricadute economiche negative per i singoli, derivanti dalla crisi in atto. Quindi scelta dei tempi pessima.

Poi entriamo nel merito. In primo luogo sulla quantità. Si pensa di far appello alla solidarietà del paese con un miliardo e mezzo? Questo sarebbe lo sforzo che si chiede al paese? Cioe’ andare a fare delle insignificanti punzecchiature a 803 mila contribuenti (appena l’1,9% del totale dei contribuenti) per tirare fuori il raddoppio della spesa di solidarietà?  Effettivamente siamo alla proposizione del nulla. Se lo Stato ha bisogno di raddoppiare il fondo per le spese di emergenza lo faccia senza scomodare nessuno. E senza presentarsi agli occhi dei cittadini come un mendicante che chiede l’elemosina ai cittadini più facoltosi.

Ed è un peccato, dicevamo, perché invece il tema c’è tutto. Perché questa crisi ha tagliato la società italiana frantumandola in tanti gruppi e sezioni ognuno col suo problema, ognuno con le sue perdite attuali e ognuno con le sue prospettive future. Ed allora se di solidarietà si deve parlare, ed è giusto che se ne parli, occorre cercare di entrare il lungo e in largo all’interno dei conti della comunità nazionale per capire dove si possono trovare risorse disponibili e dove si possono destinare. Ovviamente mantenendo in pieno due principi guida: la proporzionalità e la giustizia.

La proporzionalità significa che lo sforzo solidaristico deve essere certamente di tutta la comunità e non di un piccolo numero di soggetti ma seguendo una differenziazione per diversi livelli di disponibilità. Senza appesantire oltremodo  il peso fiscale, che in Italia è già elevato, si possono individuare spazi possibili che tengano conto ovviamente dei diversi livelli di ricchezza e di reddito dei soggetti. La giustizia  deve invece guidare le modalità di distribuzione di queste risorse che devono arrivare in maniera inequivocabile solo laddove ci sono state difficoltà emergenti evitando il triste spettacolo dell’Italia che troppo spesso premia i più furbi e non i più bisognosi.

Seguendo questi principi e impegnando lo Stato, una volta raccolto il fondo di solidarietà, a fare presto e bene, quindi ad arrivare con tempestività a supportare i veri “colpiti dalla crisi”, l’idea di un Fondo di solidarietà che potrebbe avere anche la durata di due anni diventa significativa. E dovrebbe vedere le forze politiche tutte, maggioranza e opposizione, ad impegnarsi per istituirlo.

Intanto perché contribuirebbe a creare un maggiore collante del sistema nazionale, molto più importante delle canzoni dai balconi (che comunque non vanno demonizzate!), e poi perché potrebbe dare in mano allo Stato delle risorse fresche, non a debito, con cui supportare le aree più in crisi dell’economia nazionale.

E allora però, se di contributo di solidarietà si deve parlare, si deve guardare a qualcosa di più grande. E quindi a qualcosa che si regge su molte più teste e non solo gli 800 mila benemeriti che pagando le tasse, presumibilmente  fino all’ultimo euro, risultano formalmente come i “paperoni italiani”.

Vediamo quali potrebbero essere le aree su cui lo Stato potrebbe contare.

In primo luogo, per seguire l’indirizzo del Governo, l’area dei redditi più alti. Se stiamo su una richiesta  contenuta di contributo forse si può andare anche sopra 50000 euro. E con piccole aliquote che vanno dal 2% delle eccedenze per i redditi di poco superiori ai 50000 euro ai 7% per quelli  più elevati si potrebbero ricavare sui 2/2miliardi e mezzo di euro.

Poi possiamo prendere in considerazione il patrimonio. Che in un momento come questo, appunto di estrema gravità, potrebbe essere una fonte disponibile per sostenere un contributo di solidarietà. La ricchezza privata degli italiani è sui 10000 miliardi di euro. Sui 6000 miliardi di abitazioni penso che non sia così difficile, sempre agendo con proporzionalità, ricavare almeno 5 miliardi di euro in più di quello che viene già fatto con l’Imu. Basta pensare che dall’Imu prima casa lo Stato ricavava oltre 4  miliardi e veniva a costare ad ogni singolo proprietario intorno ai 250 euro. Insomma siamo all’interno di cifre che non dovrebbero mettere in difficoltà la famiglia media italiana.

Sui 4000 miliardi di fondi mobiliari non credo che dovrebbe essere così difficile ricavare uno 0,5% rispetto al totale. Si tratterebbe di circa 20 miliardi una tantum che, anche questi, non penso che dovrebbero scatenare difficoltà estreme. Pur sapendo che si tratta sempre di sacrifici che ogni detentore di risorse dovrebbe fare a fronte di un mercato finanziario non certo brillante per le famiglie in questo particolare momento di crisi.

Ed, infine, so di toccare un tasto delicato ma penso che in questa situazione se ne debba almeno discutere, si potrebbe pensare ad un contributo di vera solidarietà da parte di pensionati e dipendenti pubblici verso un mondo privato, in particolare quello autonomo, che ha visto falcidiato il proprio sostegno reddituale da questa crisi. Il mondo dei pensionati e dei dipendenti pubblici rappresentano una platea di circa 20 milioni di soggetti. Penso che non sarebbe così disdicevole pensare di trarre almeno 2 miliardi da questo mondo. Che vive, lo sappiamo, fra estreme difficoltà ma che penso non dovrebbe far mancare una media di 100 euro a persona come contributo in questa fase difficilissima per la restante parte del paese.

Si tratterebbe  di un fondo generale, da rinnovare per due anni, pari a circa 28 miliardi per anno. Da devolvere esclusivamente a sostegno dei redditi dei soggetti duramente colpiti da questa crisi. Per questo e per l’anno successivo.

E’ evidente che l’idea di questo Fondo è appena abbozzata. Si tratterebbe poi di articolare ancora meglio i contributi per fasce di reddito e per tipologia di soggetto. Vanno poi eliminati i doppini che risultano dall’incrocio di queste tipologie. Non si può tassare la stessa cosa due volte con argomenti diversi.  Ma rimane l’idea di uno sforzo, anche privato del singolo cittadino, a sostegno di chi si trova e si troverà nel prossimo anno in una situazione di blocco totale o quasi totale.

Insomma questo sarebbe un vero contributo di solidarietà. La boutade del PD sembra invece una ricerca di consenso a buon prezzo. Prendere poco, colpire pochi, così tanto per far vedere che ci siamo. Non è questo che ci si aspetta dal PD. Per quanto “grillizzato”.

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Archiviato in:Economia

Info Mauro Grassi

Mauro Grassi. Nato e residente a Firenze 68 anni. Laureato in statistica e in economia a pieni voti. E' stato Direttore di ricerca all'Irpet (Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) fino al 2000. Quindi Direttore Generale della Regione Toscana fino al 2011. Dopo una breve esperienza di Assessore all'Ambiente e all'Urbanistica al Comune di Livorno ha svolto dal 2013 incarichi di direzione presso il Ministero delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio (Direttore di #Italiasicura). Attualmente svolge attività di Consulenza in campo ambientale.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Giuseppe Di Biagio dice

    12 Aprile 2020 alle 14:19

    Interessante. In particolare l’ultima, quella riferita al contributo di pensionati e dipendenti pubblici. Al riguardo ti invito a leggere quanto elaborato e proposto da Michele Boldrin, lo puoi trovare postato sul suo profilo Fb.

    Rispondi

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