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Solo Riformisti

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Autonomia rafforzata, rispettare la Carta

Se fatto bene, il federalismo differenziato di cui tanto si parla può essere un’occasione di rilancio per l’istituto regionale, attualmente in crisi

25 Febbraio 2019 da Alessandro Petretto Lascia un commento

Due posizioni radicali (e sbagliate)

Il federalismo differenziato di cui si parla e straparla animatamente in questi giorni minaccia di essere una di quelle riforme istituzionali fatte male o addirittura, alla fine, non fatte proprio. C’è il timore che il paese si divida in due posizioni radicali. Secondo la prima, con l’autonomia rafforzata, le regioni del Nord cominceranno a liberarsi dal giogo nazionale, assumendo risorse illimitate e comunque azzerando i residui fiscali che le vede contributrici nette alla finanza pubblica nazionale. In base alla seconda, il federalismo differenziato prosciugherà le risorse destinate al Sud, negando i principi di solidarietà territoriale fino a ora consolidati.

Entrambe le posizioni sono fuorvianti e sostanzialmente errate. La prima perché non c’è alcun giogo da cui liberarsi e non c’è alcun residuo fiscale da recuperare: se il reddito pro-capite è più elevato in certi territori è giusto che questi siano contributori netti. La seconda perché il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie di tutela del caso e poi perché, in realtà, l’uguaglianza verso il basso non la vogliono nemmeno i territori “poveri”.

Cosa dice la Costituzione

L’autonomia differenziata,  se viene applicata così come  è stata pensata,  non per tutte ma  solo  a favore  delle  regioni con le carte in regola in termini di efficienza e  di conti a posto (ma questo nell’art. 116 non è scritto) potrebbe costituire l’occasione per un rilancio del polveroso istituto regionale, con vantaggi in termini di produttività estesi a tutto il paese.

Ma, finché siamo in tempo, occorre intervenire su alcuni punti contenuti nelle intese con le regioni Lombardia e Veneto (l’intesa con l’Emilia è meno dirompente), prima dell’avvio dell’ancora lunga procedura legislativa e parlamentare: nello specifico  le forme e le condizioni particolari di autonomia, per quanto attiene al finanziamento, devono essere coerenti con l’articolo 119 e la successiva legislazione attuativa (legge delega 42/2009 e  decreto legislativo 68/2011)

Al riguardo, fino a che tutta questa costruzione non sarà abolita e sostituita da qualcosa d’altro, si prevedono due categorie di spese: la prima (circa il 70 per cento del totale) rivolta al finanziamento delle funzioni per il soddisfacimento di diritti sociali e civili (sanità, assistenza, in parte istruzione e trasporti)  e la seconda al finanziamento delle altre funzioni.
Per le prime è espressamente prevista la definizione, da parte dello stato, dei livelli essenziali delle prestazioni ( “spese Lep”). Al finanziamento di queste spese, una volta standardizzate (per comprenderci, una siringa acquistata in una Regione non può costare il doppio in un’altra), sono destinati specifici tributi, ad aliquota e basi imponibili uniformi: Irap, addizionale regionale Irpef e della compartecipazione Iva. Dato che queste entrate non sono sufficienti , è previsto un trasferimento statale a carattere perequativo.

Al finanziamento delle altre spese (“spese non Lep”) le regioni provvedono,  entro limiti fissati dalla legislazione statale, con la modifica delle aliquote base dei precedenti tributi, insieme al trasferimento perequativo orizzontale, da regione ricche a regioni povere

Questa struttura base di finanziamento per le regioni a statuto ordinario che richiedono l’autonomia rafforzata comporta alcune conseguenze:

  • Solo per le funzioni trasferite da cui derivano  nuove spese per Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) si applica una specifica maggiorazione, rispetto all’aliquota base, della compartecipazione Iva.
  • Se la regione è più efficiente perché per le competenze trasferite la spesa standardizzata fissata a livello nazionale è superiore a quella effettiva, a quanto la regione spende  la differenza è incamerata “premio” della sua maggior efficienza.
  • Nel caso contrario, se la regione spende di più rispetto alla spesa standard, la differenza deve essere coperta con un aumento dei tributi: quindi toccherà ai cittadini frugarsi le tasche.
  •  
    Tutta l’operazione deve essere a bilancio zero per la pubblica amministrazione e a parità di pressione fiscale complessiva: ma  l’esperienza di altre operazioni del passato  annunciate a costo zero non ci rassicura.

Inoltre, per garantire i territori deboli, deve rimanere inalterata la struttura dei trasferimenti perequativi, dallo stato (verticali)  per le funzioni sui diritti sociali, e quelli orizzontali, sulla capacità fiscale, per le altre funzioni.
Uno schema come questo probabilmente deluderà i “secessionisti nostalgici”, così come gli “egualitaristi puri”, ma ci pare l’unico che si fondi su una base costituzionalmente coerente e renda, allo stesso tempo, possibile il federalismo differenziato e le sue potenzialità.

 

 

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Info Alessandro Petretto

Professore emerito dell’Università degli studi di Firenze. Insegna Politica economica alla Scuola di economia e management di Firenze. E’ stato presidente della Commissione tecnica per la spesa pubblica del Tesoro e presidente della Società italiana di economia pubblica. E’ membro del Comitato scientifico dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio.

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