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Attenti a non pagare

Non pagare i debiti, anche per uno Stato, può essere una tentazione forte. La storia però ci insegna che si corrono rischi piuttosto seri. La lezione del Venezuela, ad inizio del ‘900, è lì a ricordarcelo.

14 Giugno 2019 da Luciano Pallini Lascia un commento

Gli stati debbono pagare i loro debiti e se si rifiutano di farlo, è legittimo l’impiego della forza per ottenere soddisfazione:  un episodio minore, poco noto,  di passaggio dalle parole  ai fatti avvenne alla fine del 1902  con protagonisti da una parte  il Venezuela, paese di caudillos e debitore recalcitrante,  e dall’altra Germania, Gran Bretagna e Italia.

I diversi paesi europei avevano numerosi interessi nel paese sudamericano: la Germania con la Krupp aveva realizzato la società ferroviaria venezuelana, uno tra i più importanti  investimenti tedeschi dell’intero Sudamerica, la Gran Bretagna deteneva oltre la metà del debito pubblico venezuelano , mentre l’Italia, in base ad  un accordo con Caracas che la  impegnava a partecipare al dissodamento delle terre incolte mandava  emigrati per i quali i venezuelani pagavano perché andassero da loro anziché in altri Paesi.

I pagamenti, per una situazione politica complicata, erano sempre stati irregolari ma con la conquista del potere da parte di Cipriano Castro nell’ottobre del 1899, i pagamenti dei debiti contratti cessarono del tutto.

Iniziano le pressioni per ottenere la ripresa dei pagamenti con Berlino che propone un arbitrato internazionale mentre  Londra invia diciassette note diplomatiche in quattro mesi ma Castro si fa forte della dottrina Monroe  e confida  che gli Stati Uniti siano pronti a impedire qualsiasi intervento militare europeo ma a  Washington interessa impedire che gli europei si impadroniscano di  ulteriori territori del continente americano, ma non si oppone alla tutela dei loro interessi anche con il ricorso alla forza.

Dopo averci provato con le buone nel novembre 1902 l’imperatore Guglielmo di Germania e il re Edoardo VII d’Inghilterra si incontrano a Sandringham House e firmano il cosiddetto “accordo delle corazzate” ed  il 7 dicembre 1902 Berlino e Londra lanciano un ultimatum respinto da Caracas.  l’11 dicembre anche l’Italia  manda un ultimatum, respinto come quello anglo-tedesco .

Nei giorni successivi  comincia il blocco navale; le unità italiane si uniscono a quelle britanniche e tedesche il 16 dicembre: l’ariete torpediniere “Giovanni Bausan” e l’incrociatore corazzato “Carlo Alberto”,  che qualche mese prima ha ospitato gli esperimenti di Guglielmo Marconi

L’Italia è ovviamente a rimorchio di tedeschi e britannici e Roma sembra sempre andare a rimorchio delle decisioni di Londra e Berlino. «L’Italia chiede tre milioni di lire al governo del Venezuela», scrive La Stampa del 15 dicembre 1902. Il giorno dopo il ministro degli Esteri italiano assume una posizione durissima, riferendo di  «offese ai cittadini», di «violazioni» di vascelli mercantili, di «mancati pagamenti» protratti per anni da parte del  Venezuela , di inadempienza nei contratti governativi, di «danni alle proprietà di cittadini italiani durante le insurrezioni» : lamentele rispetto alle quali l’Italia si attende «giuste compensazioni».

Nel giro di alcuni  giorni tutte le navi della marina militare venezuelana vengono catturate. Castro risponde  arrestando 200 cittadini tedeschi e britannici residenti a Caracas: allora navi  britanniche, assieme ad  un’unità tedesca, bombardano Puerto Cabello.

Intervengono gli Stati Uniti proponendo un arbitrato internazionale: gli inglesi accettano mentre i tedeschi resistono e mandanonel  gennaio  1903  due navi nella laguna di Maracaibo e distruggono Fort San Carlos, uccidendo  25 persone. A questo punto Washington si impone con  Berlino costringendolo  accettare il negoziato.

L’accordo,  siglato nel febbraio 1903, prevede che  il debito estero venga  ridotto ed a garanzia viene devolutoalle potenze coinvolte un terzo degli introiti doganali dei due principali porti del Paese,  anche se ci saranno ulteriori strascichi negoziali.

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Info Luciano Pallini

Laureato in Economia e commercio all’università di Firenze con il massimo dei voti e la lode, Luciano Pallini è stato dal 1970 al 1975 responsabile dell’Ufficio studi del Comune di Pistoia. Qui, dal 1975 al 1988, ha ricoperto diverse cariche elettive. Già componente del consiglio di amministrazione dell’Irpet e della S.a.t. “Galileo Galilei” di Pisa, svolge da trent'anni attività di consulenza alle imprese e di ricerca economica. Attualmente svolge attività di coordinamento del Centro studi Ance Toscana e del Centro studi della Fondazione Filippo Turati. Presiede inoltre l’associazione E.s.t. (Economia società territorio) con la quale realizza progetti di sviluppo basati sulle risorse locali, in particolare i beni culturali.

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