Le parole di Guterres, Segretario generale dell’ONU, secondo il quale la vasta operazione
terroristica compiuta da Hamas il 7 ottobre contro gli abitanti dei kibbutz e i giovani del rave nel
deserto sarebbe l’effetto della dominazione israeliana nei territori palestinesi durata oltre
cinquant’anni, non ci devono stupire più di tanto. Non è la prima volta che in sede ONU lo Stato di
Israele viene messo sotto accusa, soprattutto quando si devono votare mozioni in un’assemblea
che per ragioni numeriche è dominata dai Paesi che apertamente manifestano la loro ostilità verso
i discendenti di Abramo. Certamente non è che per questa sua improvvida dichiarazione Guterres
debba essere annoverato nel vasto club degli antisemiti; resta però il fatto che essa è sintomatica
di un atteggiamento e un modo di pensare che si sono radicati, con la complicità dei media
internazionali e delle grandi istituzioni culturali (basti pensare alle più prestigiose università
americane), in vasti settori dell’opinione pubblica.
L’idea che attraversa ormai quasi tutti gli ambiti della politica e della cultura è che Israele abbia
messo in pratica una vera e propria forma di colonialismo nei confronti del popolo palestinese,
che, di conseguenza, avrebbe tutto il diritto di ribellarsi e lottare con ogni mezzo per la propria
liberazione.
Poi, magari, si condannano gli “eccessi”, come quelli perpetrati di recente dai militanti di Hamas,
ma comunque non si dice mai tutta la verità: che Hamas è un’organizzazione terroristica e
criminale, ed ha lo scopo, sancito “apertis verbis” nel proprio Statuto, di distruggere fisicamente lo
Stato di Israele e, di conseguenza, i suoi cittadini.
Se poi guardiamo a quanto avvenuto in questi giorni nelle maggiori piazze europee, tra cui Roma e
Milano, abbiamo la fotografia, chiarissima, della realtà in cui ci troviamo: ad essere bruciate sono
soltanto le bandiere con la stella di David, spesso accompagnate da quelle statunitensi, e mai le
insegne di Hamas. E una strage con episodi inenarrabili, dimostrati da immagini video degli stessi
terroristi, non dà luogo a manifestazioni di solidarietà nei confronti delle vittime (se non in rare
occasioni), ma a lunghi cortei dove si inneggia alla liberazione della Palestina.
Qual è la spiegazione di questo diffuso sentimento anti-israeliano, che non lascia spazio alla
compassione nemmeno quando le vittime del terrorismo islamista sono bambini e vecchi? La
risposta più ovvia sarebbe: l’antisemitismo che cova sotto la cenere nella vecchia Europa e
riaffiora nei momenti cruciali. C’è forse anche un’altra ragione, che non è in opposizione alla
prima, e che si capisce quando si vedono quasi sempre bruciare insieme, nelle manifestazioni pro-
Palestina, le bandiere israeliane e le bandiere americane; anche quando il presidente Biden, mai
come ora, sta cercando di gettare acqua sul fuoco, proprio per evitare l’invasione via terra della
striscia di Gaza che certamente provocherebbe una catastrofe sul piano umanitario.
Di che si tratta dunque? Si tratta dell’anti-occidentalismo, evidentemente, un modo di pensare che
non appartiene solo a quel mondo composto da Paesi che in passato furono colonie della Francia,
Inghilterra, Germania, Belgio e in minima parte anche dell’Italia. L’anti-occidentalismo è ormai
diffuso soprattutto in Occidente: nelle più importanti università americane, nella sinistra radicale
europea ma anche in ampi settori della destra (vedi le simpatie filo-putiniane di certi leader a noi
ben noti), nelle televisioni, nelle Ong, in tanti libri di testo diffusi nelle nostre scuole, persino in
alcuni settori della magistratura.
E chi possono essere gli obiettivi della propaganda anti-occidentale se non, in primis, gli Stati Uniti
d’America e, subito dopo, lo Stato d’Israele? Se poi aggiungiamo che i maggiori esponenti mondiali
della battaglia contro l’Occidente oggi sono la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping, beh, allora
dovrebbe essere chiaro a tutti che non sono in ballo solo la sicurezza e la sopravvivenza degli
israeliani, qui si gioca il futuro della nostra democrazia.
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