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Solo Riformisti

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2021, anno di Draghi?

Una leadership competente e autorevole e una maggioranza composita che, anche di fronte alla grave situazione del Paese, non rinuncia a marcare il proprio territorio. In estrema sintesi è questo il bilancio dell’anno che sta per chiudersi. L’esito è ancora incerto.

31 Dicembre 2021 da Alessandro Petretto Lascia un commento

Ad Alessandro Petretto chiediamo di delineare, a grandi tratti, un bilancio del primo (e forse ultimo?) anno di governo di Mario Draghi, concentrandosi sui temi dell’economia, in un contesto condizionato dalle successive ondate di una pandemia che pure ha condizionato e condiziona a livello globale la ripresa e la crescita.

Sulla legge di bilancio appena varata dal Parlamento – in mezzo a polemiche non solo dell’opposizione – il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha preso le distanze, senza tanti giri di parole, per alcune scelte compiute dai partiti che hanno, ciascuno, provveduto a portare a casa un risultato parziale a tutela della propria base elettorale, salvo il vincolo del saldo di bilancio. È emersa una linea di continuità con le finanziarie dei governi gialloverdi e giallorossi.

Ci sono innovazioni che comunque possono essere viste come positive nel testo appena varato?

Direi la revisione delle aliquote dell’IRPEF e l’assegno unico per i figli

Ed invece quali sono  le scelte che più rischiano di frenare  il rilancio dell’economia? Sia sul versante della spesa che sul versante delle entrate?

Sul versante della spesa direi tutte le correzioni che intendono eludere il sistema contributivo di computo delle pensioni. E il peggio deve ancora venire: la pressione dei sindacati si fa sempre più forte. In linea generale però ciò che colpisce è l’assenza di un qualunque disegno di controllo della spesa corrente (una volta si diceva “spending review”). Sul versante delle entrate non condivido il modo, ormai intrapreso da anni, di svuotare gradualmente la base imponibile dell’IRAP. Se il tributo non va bene va abolito e sostituito con un sistema meno penalizzante le imprese. Ma bisogna meditare bene cosa si mette al suo posto.

Pare vincente una visione che si fonda sulla “economia del comando”  e sulla spesa pubblica quali volani per garantire crescita economica e riduzione delle disuguaglianze, a prescindere dal cruciale problema della produttività del lavoro bloccata da quarant’anni. Può essere una lettura corretta di quanto sta avvenendo? E se sì, quali rischi comporta per l’Italia sul versante del debito pubblico?

Questo mi sembra l’aspetto più delicato, non tanto della legge di bilancio in sé, quanto della politica economica generale. Il disegno di un welfare risarcitorio e attento alle questioni distributive intra e intergenerazionali, ma anche incentivante all’innovazione e all’efficienza, mi pare abbandonato. Se questo avrà effetti di riduzione della crescita potenziale, depotenziando l’effetto positivo in tal senso del PNRR, certamente sarà più difficile controllare il livello del debito pubblico.

Una politica dilapidatrice di risorse tutte destinate alla spesa corrente non appare in conflitto con la strategia del PNRR basata sugli investimenti?

Certamente. Ma una parte consistente della maggioranza di governo, da sinistra come da destra, non sembra sensibile a questa tematica. È il riflesso del populismo italiano.

Ed a proposito di PNRR, il governo ha centrato gli obiettivi prefissati per l’anno in corso: ma le riforme promesse – al di là del merito – sono tutte ancora di là da venire, titoli di un tema il cui svolgimento non è chiaro dove porterà, se porterà da qualche parte. E per la spesa, si sono stanziate le risorse che debbono essere assegnate e poi spese, se ci si riuscirà, entro il 2026. Non c’è rischio che si generi sfiducia verso l’Italia nelle nuove leadership europee in Germania e Francia e che questo porti a rafforzare i sostenitori del ripristino di severe regole di bilancio?

Se si considera il rilievo che ha il sostegno all’Italia dal NextGenEu è ovvio che esista una correlazione diretta tra efficacia italiana negli adempimenti PNRR e il ripristino di regole più rigide nel nuovo Patto di stabilità e crescita.

Si può sostenere che lo spread in risalita segnali il prevalere nei mercati  della sfiducia verso l’Italia, incapace di uscire dalla trappola della bassa crescita e altrettanto convinta di godere dell’impunità del too big to fail ed ormai convinti che l’esperienza della leadeship di Draghi si sia già consumata?

L’aumento dello spread deriva direttamente dall’annuncio di una inevitabile riduzione graduale del Quantitive easing della FED e della BCE. La crescita economica, dopo la recessione da pandemia, porta con sé quasi fisiologicamente una crescita dell’inflazione che non deve però essere brutalmente frenata ma accuratamente controllata. I titoli sovrani che non vengono acquisiti dalle banche centrali sono quelli con la minore qualità, a cominciare da quelli italiani, da cui l’aumento del rendimento dei nuovi titoli rispetto a quelli risk-free e quindi dello spread….. Mi sono accorto di avere dato risposta affermativa alla domanda con un giro di parole, una sorta di supercazzola…..Sulla leadership di Draghi mi sento più tranquillo perché tutti al mondo sanno che un’alternativa, tra quelle disponibili o in fila, sarebbe certamente peggiore.

In fondo, riprendo da un Suo articolo per Solo Riformisti, per Draghi si ripete la sorte dell’esperienza di governo di Ciampi alla quale idealmente lo lega  l’idea di “ realizzare una prospettiva economica condivisa e di relazioni industriali il cui equilibrio è volto al benessere della società e a non a meri bilanciamenti di potere”   Ma a Ciampi lo lega ormai anche il probabile esito di una azione di governo” interrotta dall’opposizione della sinistra radicale e dall’opportunismo delle forze di centro-sinistra di governo che condussero al governo D’Alema prima e poi al decennio sostanzialmente berlusconiano”.

Chissà quale destino attende l’Italia: lo vedremo nelle prossime, convulse settimane, tra una pandemia montante e la corsa per il Quirinale

AMEN!

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Archiviato in:Apertura, Economia

Info Alessandro Petretto

Professore emerito dell’Università degli studi di Firenze. Insegna Politica economica alla Scuola di economia e management di Firenze. E’ stato presidente della Commissione tecnica per la spesa pubblica del Tesoro e presidente della Società italiana di economia pubblica. E’ membro del Comitato scientifico dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio.

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