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Solo Riformisti

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Un’Unione senza Costituzione?

Con questa intervista di Luciano Pallini al Prof. Ciuffoletti chiudiamo la lunga serie dedicata alla storia del formarsi dell'Unione Europea, nel contesto dei grandi cambiamenti a livello internazionale e con un occhio ai riflessi in Italia.

17 Febbraio 2022 da Zeffiro Ciuffoletti Lascia un commento

La fine del millennio vedi i progressisti, ( liberalsocialisti, socialdemocratici, laburisti, democratici) alla guida dei maggiori paesi dell’Occidente  (si ritrovano tutti insieme a Firenze): non furono travolti da un eccesso di ottimismo, di fiducia nelle “sorti magnifiche e progressive” delle società democratiche, dell’avvento della ”Era dell’acquario”? pensiamo per tutti all’ammissione, in pratica senza condizioni, della Cina nel WTOPoi il 2001 è l’anno dell’attentato alle Torri Gemelle, al cuore dell’Occidente da parte del terrorismo islamico, e della invasione dell’Iraq da parte della coalizione.. Come si atteggia l’Europa in questo contesto che smentisce subito l’ottimismo della volontà?

 

Intanto l’Italia era entrata negli undici paesi che nel 1999 avrebbero adottato la moneta unica, Era troppo grande il peso dell’Italia per lasciarla fuori dall’euro e magari continuare con le “svalutazioni competitive”. E per arrivare a questo risultato Prodi ebbe qualche merito, come Ciampi ed anche Dini, cioè tre tecnocrati La Ue, a cui nel 1995 avevano aderito ben 15 paesi, era ormai un gigante con 370 milioni di abitanti ed un prodotto interno lordo superiore a quello degli USA.

La fine del millennio in realtà era ricco di promesse, ma anche carica di tensioni e conflitti che gli attivisti progressisti non volevano o non potevano vedere per difetto di cultura e di realismo. Non riuscirono nemmeno a capire cosa avveniva nel Kossovo, dove cristiani e musulmani si erano scontrati per secoli.

In Italia, quando il PDS cambiò il nome troppo simile a quello degli ex comunisti dell’Est, e prese quello di DS (Democratici di Sinistra) a Torino nel gennaio del 2000:  sembrava l’approdo finale al riformismo. In realtà non si rinunciava all’eredità postcomunista e ad un massimalismo ideologico, nascosto dietro l’accesso al potere di governo. I DS, tuttavia, aderirono al Partito del Socialismo  Europeo e all’Internazionale socialista, dove c’era di tutto e di più.

Nel 2001, poi, accadde di tutto. La globalizzazione procedeva guidata dagli usa e dall’UE e proprio nel 2001 la Cina entrava a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Nessuno valutò la potenza della Cina, che con più di un miliardo di abitanti e con una potenza economica mal calcolata in Occidente, entrava nel mercato globale con un potenziale sconfinato, umano, commerciale, e tecnologico. . Più la stabilità del sistema a partito unico e l’orgoglio nazionalistico vestito di rosso[1]

Il 2001, però, fu anche l’anno dell’attentato dei terroristi islamici di Bin Laden alle Torri Gemelle di New York. Persino i ciechi avrebbero dovuto capire la natura dello scontro in atto da temp, almeno dalla fine della Grande Guerra e dell’Impero Ottomano e del Califfato. Non a caso, allora, prese forma l’organizzazione dei Fratelli Musulmani.

L’ottimismo dei liberal americani e dei socialdemocratici europei, che ancora nel 1998 governavano o partecipavano al governo in ben sedici paesi europei, subì un contraccolpo ma non un effettivo ripensamento sul ruolo dei partiti socialisti e della UE. Mentre stava per esplodere la seconda guerra del Golfo, l’Europa si trovava ancora priva di una autonoma forza di sicurezza. L’Europa sembrava giocare al continente senza frontiere, ma era un gioco pericoloso. Nelle elezioni europee del 1989 per la prima volta la maggioranza relativa era passata al Partito Popolare con 232 seggi, mentre i socialisti si erano fermati a 181. Tuttavia la corsa all’adesione alla UE continuò, e anzi fu agevolata dai vantaggi che si profilavano per paesi che uscivano dalla miseria e dal comunismo.

 

L’Europa si impegna in un duplice processo, guidato da Romano Prodi: l’ampliamento, accogliendo in particolare i paesi ex comunisti, la definizione della costituzione Europea.  Un ampliamento a regole invariate e con l’accettazione di “eccezioni” importanti rispetto alle materie di competenza della Comunità.

 

Prodi impresse una forte accelerazione all’ingresso dei paesi ex comunisti Intanto si entrava nella fase finale dell’unione monetaria. Dal gennaio 1999 erano stati fissati i tassi di cambio tra le monete ammesse e stabiliti i tassi di conversione tra le singole valute e la moneta unica, che avrebbe cominciato a circolare materialmente il 1° gennaio 2002. Per la lira l’asticella del tasso fu così alta che, nel passaggio dalla lira all’euro, salari e pensioni persero un buona fetta  del loro valore( ed ancora si discute su quanto consistente, soprattutto a danno del reddito fisso). Inoltre tra il 1999 ed il 2001, la moneta unica si deprezzò quasi di un quarto rispetto al dollaro, che ancora rimaneva la moneta di riferimento nelle transazioni internazionali.

Il problema dell’euro, in realtà, era nella sua natura di moneta senza stato, non convalidata cioè da un potere statuale di riferimento. Da qui un ulteriore motivo per dare all’UE un assetto istituzionale più forte e chiaro. Si arrivò così al consiglio istituzionale di Colonia  (giugno 1999) per stabilire la carta dei diritti fondamentali della UE e rafforzare la sua identità. La Carta entrò in vigore nel dicembre del 2000 e, nonostante le resistenze dell’Inghilterra, doveva rappresentare il prologo di una futura costituzione europea. Non solo: il Consiglio europeo, riunito ad Helsinki nel dicembre 1999, deliberò la creazione, entro il 2003, di una forza militare d’intervento rapido della UE, che ra stata anticipata nella dichiarazione franco-britannica di Saint Malo (1998). Non si dimentichi che Francia ed Inghilterra erano due potenze nucleari.

La questione del Kosovo aveva fatto capire fin dalla primavera del 1999 che in situazioni d’emergenza alle porte di casa solo la NATO era attrezzata per un intervento. Mentre tutta l’Europa era in movimento il verde Joschka Fischer, ministro degli esteri tedesco, propose per l’UE un futuro assetto federale, o meglio, una “sovranità condivisa”  fra UE e stati aderenti. Il presidente francese Chirac non era, al solito, favorevole a soluzioni federali, ma voleva rafforzare la cooperazione intergovernativa fra un “gruppo pioniere” di Stati, in grado di guidare il processo di integrazione. Blair, invece, difese la combinazione di procedure intergovernative e sovranazionali ma ricordando la superiore legittimazione democratica delle istituzioni nazionali. Giuliano Amato, succeduto a D’Alema dopo le elezioni regionali, suggerì da “dottor sottile” di attenersi ad uno schema pragmatico e flessibile, nel quadro di un sistema di governo “multilivello”.

 

Si arriva così al Trattato di Amsterdam: che importanza ha?

 

In realtà il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 si limitò ad integrare in alcuni punti il Trattato di Maastricht . Si creò, infatti, la figura dell’Alto rappresentante per la Politica Estera e Sicurezza Comunitaria , nella persona del socialista spagnolo Javier Solanas, e si cercò di definire il campo di intervento dell’UE nelle missioni umanitarie, di peace – keeping e di intervento in situazione di crisi. Tutto, però, restava su base volontaria e la politica di difesa e sicurezza mancava di strumenti operativi effettivi. Si delinearono, infine, delle convergenze sulla difesa dello stato sociale, dell’occupazione e del lavoro  nonché sull’emigrazione e la circolazione delle persone, che furono incluse nelle competenze comunitarie ma senza precisare forme e modalità. Entrò in gioco anche il sistema della “cooperazione rafforzata” fra i paesi che decidevano di andare avanti nell’integrazione , senza essere frenati dai paesi più restii e non ancora pronti. Si tenga presente che nel frattempo si stava passando da quindici a ventuno paesi aderenti, fra cui la Grecia che entrò nel 2001 nell’Unione Monetaria.

Ormai era impossibile non affrontare le questioni istituzionali legate all’allargamento ad Est, ma anche alla gravità del contesto internazionale che abbiamo già descritto.

 

Già fu proprio Prodi a gestire la difficile fase dell’ingresso degli stati centro orientali ex comunisti nell’Unione…

 

Prodi, diventato nel 1999 presidente della Commissione  dopo Delors e Santer, si trovò a gestire non solo il tema dell’allargamento, ma i difficili negoziati che portarono al Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001. Non fu un parto facile, perché si doveva affrontare il “peso” dei singoli stati nei processi decisionali dell’UE  allargata, dopo discussioni e trattative si arrivò al compromesso della paretiticit, ma per la maggioranza qualificata ci voleva almeno il 74% dei voti, corrispondenti ad almeno il 62% della popolazione della UE.

 

Ma quali erano i contenuti del Trattato di Nizza?

 

Nel Trattato di Nizza si rifletteva un compromesso fondato sulla difesa delle prerogative nazionali, più che sulla volontà di proiettare la UE in una nuova dimensione. . Per superare il Trattato di Nizza, già non ratificato da un referendum dell’Irlanda nel giugno del 2001, il Consiglio europeo di Laeken nel dicembre del 2001 decise di riunire  una Convenzione, aperta anche ai paesi candidati all’adesione, per elaborare proposte volte ad assicurare più democrazia, più trasparenza ed efficienza al sistema di governo UE.  All’orizzonte si profilava una Costituzione europea.

 

Ma come nasce  (e come muore) il Trattato Costituzionale?

 

Mentre  si faceva strada l’idea di considerare la popolazione dell’Unione Europea come un tutto unitario, adatto ad eleggere, ad esempio, una assemblea costituente, si prese una strada assai più complicata. Nel 2003 si convocò, infatti, una convenzione presieduta da Giscard D’Estaing e composta dai rappresentanti dei governi degli stati aderenti, da quelli del Parlamento europeo, dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali e da quelli della Commissione. Una rappresentanza eterogenea e pletorica che, come vedremo, partorì un testo di oltre 440 articoli, dieci volte di più della Costituzione americana di Filadelfia. Al termine dei lavori venne fuori un progetto denominato Trattato costituzionale, che ripartiva in quattro sezioni la disciplina giuridica dell’Unione: le istituzioni, la Carta dei diritti, il funzionamento dell’Unione e la modifica dei trattati. Il testo fu poi rielaborato da una Conferenza intergovernativa e approvato dai governi nel 2004.

Il futuro presidente della Commissione, organo esecutivo della UE, doveva essere scelto tenendo conto dei risultati delle votazioni del Parlamento europeo. . Il modello era quello della democrazia parlamentare, ma non si teneva conto che solo un presidente eletto direttamente poteva esprimere il potere democratico del popolo europeo e tenere a bada le varie pulsioni degli stati nazionali. Così come si puntò sui diritti e non sui doveri, secondo una logica tautologica che i diritti producono diritti, come le merci producono merci. In più si decise, dopo un lungo dibattito, di non fare riferimento alla identità dell’Europa, come se fosse un fatto secondario.

 

Una scelta tutta ideologica, negatrice della storia  che provoca conseguenze negative

 

Le forze progressiste di sinistra ed anche liberal non volevano alcun riferimento all’identità e tanto meno a quella ebraico-cristiana (allora si pensava anche all’ingresso della Turchia). Si sottovalutava il problema dell’appartenenza di fronte ad un mondo globalizzato  che creava continue tensioni e conflitti, anche sul versante delle identità più profonde, quelel religiose e di civiltà. Il fatto è che la cultura di sinistra era troppo liberal per guardare alla identità dell’Europa, che concepiva senza frontiere e quindi anche senza identità.

Non si pensava al fato che, come esisteva la cittadinanza nazionale, esisteva la cittadinanza europea, già affermata dai Trattati,, nello stesso modo esistevano identità e varie storie nazionali e la identità, più composita e varia, dell’Europa.. La diversità di codici culturali, delle storie e delle lingue dei popoli europei, non impedivano di riconoscere l’esistenza di una identità comune, frutto di una lunga eredità storica, la cultura greca, il diritto romano, le tradizioni religiose ebraica e cristiana, la civiltà rinascimentale, l’illuminismo, il liberalismo, la democrazia, la scienza, l’economia di mercato ecc.

L’Unione Europea,  specialmente dopo la fine della guerra fredda e delle ideologie totalitarie,  ma anche di una globalizzazione travolgente e conflittuale, aveva bisogno, invece, di una identità comune.

Certo lo sviluppo della civiltà europea non era stato privo di conflitti e di contrasti tragici, ma nonostante ciò non si potevano ignorare gli scambi e le contaminazioni reciproche, in un rapporto dialettico con le diverse identità. Diverse identità che ancora oggi possono rappresentare una ricchezza, sono un patrimonio che non può essere cancellato da unioni astratte e da una concezione puramente economica o astrattamente giuridica dell’Unione.

Non ci si può lamentare delle reazioni nazionaliste e sovraniste, quando si è rifiutata l’idea di una identità di civiltà, un patrimonio di valori su cui fondare l’Unione.

 

E anche a causa di questa assurda scelta, il Trattato cade per volontà popolare

 

Così alla fine il Trattato costituzionale cadde dopo la mancata ratifica di Francia e Olanda in seguito a due referendum tenutisi nel 2005. Il deficit di democrazia nella complessa costruzione dell’Unione si pagava con la democrazia diretta che si praticava all’interno degli stati nazionali.  Il consenso non si crea, né si riconoscono le istituzioni,  se non si coltiva lo sforzo della democrazia come fonte del potere. Certo gli idraulici e i manovali dei paesi dell’est potevano fare concorrenza sleale in Francia o in Olanda, ma forse si era fatto troppo poco per incrementare la difesa dei ceti più esposti alla concorrenza dei lavoratori dei paesi dell’est. La cittadinanza comune conferiva un diritto alla mobilità nello spazio europeo che non poteva essere concepito come il programma dei Giochi senza frontiere. Bisognava tutelare il lavoro con un sistema fiscale omogeneo e con regole d’adeguamento del costo del lavoro. Tutte questioni che richiederebbero un potere esecutivo europeo dotato di piena e forte legittimazione popolare senza la quale si scivola nell’euroscetticismo e nel populismo antieuropeo.

Il Trattato di Lisbona, che è l’attuale fondamento giuridico dell’Europa, firmato nel 2007, tentò di rimediare all’assenza di un quadro costituzionale. Il Trattato dedicò molta attenzione al problema della cittadinanza europea (articoli 20-24). Nel trattato sul funzionamento della UE (TFUE) si cercò di stabilire una relazione più stretta fra cittadinanza e democrazia europea. Dichiarando, però, che la cittadinanza dell’Unione si aggiungeva alla cittadinanza nazionale e non sostituiva quest’ultima. La natura duale della cittadinanza europea si viene a situare al confine tra stato nazionale, Unione sovranazionale in fieri e idee cosmopolite[2]

 

Ma questo riporta al tema originario: cosa è l’UE: un ircocervo?

 

Il problema restava il solito e cioè il fatto che la UE è una Unione sovranazionale incompleta.

Di fatto si riafferma la libertà di movimento dei cittadini europei nel perimetro della UE, ma non si delineano diritti e doveri. . Il Trattato di Lisbona si compone di due parti : il Trattato dell’Unione Europea (TUE) ed il Trattato sul funzionamento della Unione europea (TFUE) che includono e modificano i precedenti Trattati.

Alcuni considerano questo complesso di norme e  T rattati una “evoluzione coerente”  (Antonio Padoa Schioppa”, ma con una grossa dose di benevolenza. Non si può ignorare, tuttavia, che si tratta di un sistema istituzionale “non concluso” e per certi versi così complesso, da non potersi definire né in senso confederale, né in senso federale.

Non a caso davanti alle crisi internazionali, la risposta della UE è stata , almeno fino alla pandemia da Covid-19, lenta ed insoddisfacente.  Così avvenne con la crisi finanziaria del 2008, almeno fino all’avvento di Draghi alla BCE, ma anche con le crisi internazionali ad Est e nel Mediterraneo.

 

 Ed oggi di fronte alle grandi sfide come si atteggia l’Unione Europea?

 

Il fenomeno più grave resta l’immigrazione, un travaso di milioni di persone dall’Africa e dall’Asia

verso l’Europa che in parte ha bisogno di immigrazione, ma che non può risolvere con essa il problema delle sfide economiche e tecnologiche che le stanno davanti. Ci sono i giovani europei da accompagnare, nella loro crescita culturale e sociale.  C’è una crisi demografica da risolvere con gli aiuti alle famiglie ecc..

Il “paradosso dell’era digitale” sconvolge tutta la società ma non crea, automaticamente, nuova occupazione né più sviluppo, ha poi più bisogno di tecnici e ricercatori. La Germania, che è la locomotiva industriale europea, da una crescita della produttività dell1,9% negli anni Ottanta è passata allo 0,8% della media del decennio 2007-2017.  Si pensa che sia necessario cambiare il “paradigma”

Più rispettoso della sostenibilità ambientale e sociale, ma per farlo occorrerebbero molti capitali, molta formazione ma soprattutto un governo europeo. Un governo che sappia interpretare le necessità dei singoli stati e ne armonizzi lo sviluppo, senza pretendere di modellare gli assetti politico-istituzionali

Dei vari paesi su parametri astratti, semmai favorendo la crescita della coscienza democratica in tutti i paesi della UE. Prima, però, recuperando essa stessa le logiche della democrazia.

 

[1] cfr. D. De Vico Un elefante in cristalleria. Piccola storia della Cina nel WTO. Col senno di poi” in Corriere Economia, 6 dicembre 2021. Sul tema anche Z. Ciuffoletti “La globalizzazione imprevidente; dal GATT al WTO che aprì le porte alla Cina (1994-2001)”

 

[2] Cfr. A. Martinelli, Identità, cittadinanza, integrazione, in Europanonostante tutto, La Nave di Teseo, Milano, 2019)

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