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Prato, prospettive per il riciclo tessile

Il rischio per il distretto pratese è quello di restare ai margini delle grandi correnti che stanno soffiando sulle vele di tutto il sistema moda costretto a fare rapidamente i conti con la circolarità.

31 Luglio 2022 da Andrea Balestri Lascia un commento

La medaglia per il recupero closed-loop degli stracci di lana di cui si fregia orgogliosamente il distretto tessile di Prato potrebbe perdere rilevanza nei nuovi scenari che, come emerge da un recente rapporto McKinsey (Scaling textile recycling in Europe–turning waste into value), saranno plasmati dagli orientamenti della Commissione Europea: il Green Deal del 2019, l’Action Plan del 2021 e soprattutto la Strategy for Sustainable and Circular Textiles di inizio primavera.

Oggi si stima che nel distretto pratese confluiscano 180.000 ton di sacchi pieni di abiti usati, per la maggior parte importati da Nord Europa e USA.  Dopo le operazioni di cernita, tutte ancora manuali, questa massa di prodotti tessili si divide tra: i) mercati del riuso, che sono la fetta decisamente più importante (140.000 ton); ii)riciclo, che si realizza sia con processi open che closed loop (22.000 ton); iii) termovalorizzazione; e iv)smaltimento in discarica. Gli scarni dati a disposizione non consentono di ricostruire con precisione come si presenta questo insieme di attività e come sia cambiato negli ultimi 30 anni, a parte il fatto che, come osservano gli addetti ai lavori, si è ridotta consistentemente la massa totale dei rifiuti selezionati mentre sono aumentati gli interventi di up-grading sugli abiti per i mercati del vintage e della seconda mano.

Nella iconica filiera del cardato, nonostante una consistente emorragia di imprese, si continuano a filare oltre 20.000 ton di lana riciclata. Diversamente dal passato, tuttavia, una parte della cernita manuale degli stracci, opportunamente preselezionati, adesso viene svolta in India e in Pakistan, tanto che negli studi sulla impronta di CO2 dei tessuti di lana riciclati incidono di più le emissioni per il trasporto dei materiali da Prato a questi Paesi e ritorno che quelle dell’energia utilizzata nei processi produttivi. Macro trasformazioni si sono avute e continuano a caratterizzare il resto della filiera del riciclo dove operano imprese che utilizzano fibre diverse dalla lana nella produzione di tessuti non tessuti e agugliati. C’è stata comunque una contrazione netta nei volumi di stracci sottoposti a trattamenti down-grading per ricavare pezzami, ovatte e coibentazioni per le industrie dell’auto, dell’edilizia, delle calzature e dei materassi.

Il rischio per il distretto pratese, che può contare anche sul know how di un gruppo delle imprese meccaniche e di laboratori specializzati in impianti e servizi per sfilacciare stracci e riutilizzare le fibre, è quello di restare ai margini delle grandi correnti che stanno soffiando sulle vele di tutto il sistema moda costretto a fare rapidamente i conti con la circolarità. Da qui al 2030, infatti, in base alle direttive comunitarie che impongono ai comuni di estendere la raccolta differenziata anche ai rifiuti tessili, il volume degli abiti conferiti nei cassonetti RU balzeranno dagli attuali 2,5 milioni di ton (30% del totale del vestiario dismesso) a 6/7 milioni (80/85%).  Sfide se possibile ancora più complesse attendono le filiere del riuso e riciclo che dovranno mettere a punto processi per trovare impieghi a un simile incremento di materie prime seconde ricavate da rifiuti tessili. Il loro volume crescerà anche per effetto delle proposte di direttive della Commissione che limiteranno le esportazioni di abiti usati verso i Paesi non OCSE; questi, infatti, dovranno dichiarare espressamente a quali articoli sono interessati e dimostrare di essere in grado di smaltirli correttamente. Si profila, pertanto, un angusto collo di bottiglia: l’offerta di fibre riciclate, oggi decisamente inferiore alla domanda, passerà da 700.000 ton a 2/2,5 milioni che troveranno impieghi solo se crescerà rapidamente la capacità produttiva delle filature e/o se saranno introdotte applicazioni in nuovi impieghi, attività che, stima McKinsey, creeranno oltre 15.000 nuovi posti di lavoro.

Per le infrastrutture necessarie per raccolta dei rifiuti tessili, tra stazioni e mezzi per la logistica, saranno investiti circa 500 milioni di €. Gli investimenti nella selezione dei rifiuti ammonteranno a 2 miliardi, divisi tra 800 milioni per la parte che si occupa di riuso e 1,2 miliardi per quella dei pretrattamenti in funzione del riciclo. Attualmente la selezione, che rappresenta l’anello più debole della filiera, è svolta manualmente ma sono stati varati numerosi progetti, sostenuti anche da risorse comunitarie, per meccanizzarle. Si sta puntando molto sui sistemi basati su tecnologie “near-infrared scanning systems (NIRS)”, soluzione scelta anche dal Comune di Prato e Alia per l’hub tessile che sorgerà alla periferia della città. Nel nord Europa sono in funzione impianti pilota in grado di riconoscere e dividere i tessuti in base alle fibre di cui sono composte; i test non hanno fornito risposte univoche ma non dovremmo essere lontani dalla industrializzazione di impianti automatizzati.

Più frastagliato lo scenario che riguarda le attività di riciclo dove, tra trattamenti meccanici, termomeccanici, chimici e termochimici, si stima che saranno investiti 3,5/4 miliardi di €.  Gli sforzi maggiori si avranno nel recupero del poliestere, del cotone e delle fibre artificiali. In questi casi, se la fase della selezione fosse più accurata, le tecnologie disponibili consentirebbero già adesso di operare su grandi volumi. I trattamenti chimici e termici, ancorché richiedano più energia e presentino costi più elevati, consentono di ricavare fibre qualitativamente migliori rispetto alla sfilacciatura meccanica. Anche in questo caso, tuttavia, gli scenari sono in evoluzione; si stanno sperimentando, infatti, cicli di scomposizione soft per ottenere fibre più lunghe rispetto a quelle che adesso devono essere cardate. La trasformazione del sistema moda sarà sostenuta da consistenti supporti pubblici finanziati con programmi EPR e usando in modo selettivo il Green Public Procurement.

Considerato che in tutti gli scenari  le percentuali delle fibre animali, come appunto la lana riciclata a Prato, restano praticamente marginali, se il distretto pratese vuole continuare ad essere protagonista del settore, e non mancano le carte per provarci, oltre a tornare ad investire nei cicli closed loop della lana nei quali detiene la leadership, dovrà puntare anche sulle altre fibre partecipando insieme a imprese, istituti di ricerca e politecnici in progetti di caratura internazionale. Su questi terreni, come è noto, le schiere di piccole imprese pratesi fino ad oggi non si sono trovate a loro agio. Il progetto dell’hub tessile, nel suo piccolo (32.000 ton anno), va in questa direzione.

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Info Andrea Balestri

economista, ha svolto incarichi in centri studi, associazioni di categoria e fondazioni filantropiche. Negli ultimi anni si è occupato di enti del Terzo Settore e di Bilanci sociali. Tra le sue pubblicazioni: Ricerche, immagini e testimonianze sul futuro di Prato (1986), Cambiamento e politiche industriali nel distretto tessile di Prato (1990), Imprenditori e distretti industriali (1994), Flanelle e velour. Lanifici e impannatori a Prato (2002), La metamorfosi del sistema industriale apuano (2010); Le ragioni del marmo (2016), In cerca di empatia. Il settore lapideo, le imprese e le comunità locali (2018); Tra Prato e Carrara. Tre passi nella storia e una finestra sul futuro della Toscana settentrionale (2021)

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