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Con l’andar dei mesi e da nuovi dibattiti, si capirà quale sarà la riforma del PSC. Il successo del nuovo PSC molto dipenderà dai controlli reali che si stabiliranno sull’osservanza delle sue norme, controlli finora quasi sempre minacciati ma non attuati.

Patto di Stabilità e Crescita, si avvia la riforma

Con l’andar dei mesi e da nuovi dibattiti, si capirà quale sarà la riforma del PSC. Il successo del nuovo PSC molto dipenderà dai controlli reali che si stabiliranno sull’osservanza delle sue norme, controlli finora quasi sempre minacciati ma non attuati.

30 Gennaio 2022 da Carlo Manacorda 1 commento

Nella riunione del 17 gennaio 2022, l’Eurogruppo ― composto dai 19 Ministri delle Finanze dell’“eurozona”, cioè dei Paesi che hanno adottato l’euro ― ha ripreso il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Il 23 dicembre 2021, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, e il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, sono intervenuti sul Financial Times con lo scritto: “Le regole di bilancio dell’Ue devono essere riformate se si vuole assicurare la ripresa”. I due fatti ― palesemente connessi ― inducono a qualche riflessione sull’argomento.

Il PSC ― sottoscritto nel 1997 e rafforzato nel 2011 e 2012 ― prevede regole uniformi di politica di bilancio per i Paesi aderenti all’Unione europea (Ue). Per garantire la stabilità monetaria dell’euro, gli interventi della spesa pubblica devono essere compatibili con le risorse a disposizione. Per grandi linee, la compatibilità è misurata mediante due parametri: il deficit di bilancio ― cioè l’eccedenza tra uscite ed entrate da coprire con l’indebitamento ― non deve superare il 3 per cento del Prodotto interno lordo (Pil); il debito pubblico non deve andare oltre il 60 per cento dello stesso Pil.

Nel marzo 2020, la pandemia di Covid-19 ha indotto l’Ue a sospendere, fino al 2023, questa complessa architettura di coordinamento economico. La recessione economica causata dalla pandemia ha costretto e costringe infatti gli Stati, per sostenere le loro economie, a indebitarsi oltre i limiti stabiliti dal PSC. Il supporto a questi indebitamenti è venuto dalla stessa Banca Centrale Europea che si è impegnata ad acquistarne importi consistenti. Al contempo, gli Organi di governo dell’Ue hanno approvato un Piano europeo di aiuti agli Stati: il Next Generation EU.

Fin dal momento della sospensione, s’è posto il problema se, cessato lo stato pandemico, si doveva ritornare al PSC quale definito nel 1997, oppure lo si doveva riformare. S’è affermata questa linea ― tra l’altro già emersa da tempo ― che sottolineava l’arcaicità delle regole del PSC, non più compatibili con le esigenze economiche e sociali frattanto formatesi. Queste esigenze sono espresse, sinteticamente, nel documento Draghi-Macron prima citato, laddove si afferma: “Le crisi climatiche e della biodiversità stanno peggiorando, mentre le tensioni geopolitiche e militari sono in aumento. La tecnologia è diventata sempre più centrale per il nostro benessere, mentre al tempo stesso acuisce le disuguaglianze esistenti e crea nuove divisioni. I cambiamenti demografici stanno mutando profondamente la struttura delle nostre società”. Muovendo da queste premesse, il documento indica alcuni tratti di fondo cui la riforma del PSC dovrebbe ispirarsi: a) riduzione dell’indebitamento, ma non attraverso tasse più alte o tagli alla spesa sociale insostenibili; b) controllo della spesa pubblica ricorrente attraverso riforme strutturali ragionevoli, ma senza impedire di effettuare tutti gli investimenti necessari.

Nell’incontro dell’Eurogruppo, sono riemerse le contrapposizioni tra Paesi rigoristi (cosiddetti “falchi” o “frugali”) e Paesi aperti ad un’ampia riforma del PSC. Appartengono ai primi, soprattutto gli Stati del nord Europa. Essi sostengono che, dopo la pandemia, devono essere sostanzialmente riaffermate le regole iniziali del PSC per deficit e debito. La nuova Ministra delle Finanze olandese Sigrid Kaag ha affermato che: “La frugalità è sempre un asset”, uno strumento per produrre ricchezza. Anche la Germania ― sebbene discostandosi un po’ dalla linea assolutamente rigorista sostenuta dall’ex Cancelliera Merkel ―, attraverso le dichiarazioni del neo Cancelliere Olaf Scholz e del Ministro delle Finanze Christian Lindner, fa presente di essere aperta a progressi “ma va trovato un equilibrio intelligente tra debito e investimenti”. Fanno parte dei secondi gli Stati dell’area mediterranea, più vicini alle posizioni espresse nel documento Draghi-Macron.

Nell’ambito di questa discussione, va anche oltre il documento italo-francese ― datato anch’esso 23 dicembre 2021 e pubblicato sul sito di Palazzo Chigi ― “Revising the European Fiscal Framework” (Reform_SGP.pdf (governo.it). Propone la definizione di un piano per il trasferimento all’Europa dei debiti accumulati da ciascun Stato durante la pandemia (Debt Assumption Plan). Il processo potrebbe avvenire mediante la costituzione di una speciale Agenzia europea cui trasferire, gradualmente, la parte dei debiti degli Stati con questa origine. L’Agenzia gestirebbe “al meglio” questo debito ― che, si precisa, non viene cancellato. Gli Stati s’impegnerebbero a pagarne gli interessi.

Tutte le ipotesi in campo dovranno trovare una composizione nell’ambito della proposta di riforma del PSC che dovrebbe essere presentata dalla Commissione europea nel mese di giugno 2022. Non va dimenticato che, nel frattempo, potrebbero cambiare alcuni attori del dibattito. Macron deve affrontare le presidenziali a breve e resta incerta la collocazione di Draghi nel contesto italiano. Gli attori degli organismi europei hanno fatto alcune anticipazioni. Il Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, si è espresso per le linee riformiste avanzate da Italia e Francia. Il Vice-Presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis vedrebbe una maggiore gradualità nelle regole per la riduzione del debito degli Stati ― ora prevista in un ritmo medio all’anno di un 20esimo ― fino al raggiungimento del rapporto debito/Pil. Anche questo parametro potrebbe cambiare.

Con l’andar dei mesi e da nuovi dibattiti, si capirà quale sarà la riforma del PSC. Il successo del nuovo PSC molto dipenderà dai controlli reali che si stabiliranno sull’osservanza delle sue norme, controlli finora quasi sempre minacciati ma non attuati.

Sarebbe anche auspicabile che, negli approfondimenti, emergesse una linea sull’allineamento delle regole europee non soltanto per la politica di bilancio ma anche in materia di tasse. Fin tanto che l’Europa ammette come paradisi fiscali anche Paesi appartenenti ad essa (Irlanda, Olanda, Lussemburgo), ai quali anche gli altri Paesi dell’Ue trasferiscono, annualmente, importanti risorse, i rapporti deficit/Pil e debito/Pil continueranno ad essere drogati da questa anomalia. È facile “Fare i frugali…. con i soldi degli altri”, come avevamo riferito in un precedente scritto su questo sito, cui ci permettiamo di rinviare (L’abolizione dei paradisi fiscali europei, 27:04:2021).

 

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Info Carlo Manacorda

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Torino, è stato Direttore di Enti pubblici, Presidente di Società private, Componente di Consigli di Am-ministrazione, ed ha rivestito altre cariche pubbliche. E’ stato Docente di Contabilità pubblica e di Scienza delle Finanze presso le Facoltà di Econo-mia e di Giurisprudenza dell’Università di Torino, Componente del Nucleo di Valutazione della stessa Università e Presidente del Nucleo di Valutazione dell’Università della Valle d’Aosta. E’ stato Componente dell’Organismo di Vigilanza di Finpiemonte Partecipazioni S.p.A. e iscritto nel Registro dei Revisori contabili. E' Autore di oltre 150 pubblicazioni (libri e saggi) in ma-teria di Economia e Contabilità pubblica, Diritto pubblico, Organizzazione e Gestione delle Amministrazioni pubbliche e private. Ha scritto e scrive su Giornali, Riviste e altri periodici.

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