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Museo Marini, Firenze o Pistoia?

La recente querelle su Marino Marini può essere l’occasione per risolvere la questione dei due musei monografici presenti in un territorio così ristretto. Ma il problema va affrontato in un modo meno maldestro di quanto non sia stato fatto in quest’occasione.

26 Novembre 2019 da Marco Bazzini 1 commento

Marino Marini è stato non solo un grande protagonista del secolo scorso ma anche un artista generoso. Una generosità che non è mancata nemmeno alla moglie Marina che con lui ha condiviso la volontà di donare una parte della produzione artistica a istituzioni che testimoniassero nel tempo la sua forza creativa. Se è possibile incontrare le opere di Marino nei maggiori musei del mondo è certo per la sua indiscussa qualità formale ma, con la loro disposizione d’animo (condita anche da un umano interesse), i coniugi Marini hanno permesso di raccogliere importanti nuclei di opere presso la Bayerische Staatsgemäldesammlungen a Monaco di Baviera e il Museo del Novecento a Milano. In entrambi i musei la sua presenza è stata oggi fortemente ridotta rispetto all’entità della donazione ma a tutto vantaggio, soprattutto a Milano, di una ricollocazione nel cuore del percorso espositivo e del racconto delle vicende artistiche.

Di altro respiro ed entità sono state, invece, le donazioni avvenute in tempi diversi a favore della città di Pistoia e della città di Firenze; donazioni i cui frutti sono stati due musei interamente a lui dedicati e, di conseguenza, due distinte fondazioni per la gestione del patrimonio e delle attività; rispettivamente la Fondazione Marino Marini nel 1983 (mentre il Centro di documentazione, ora al suo interno, è del 1979) e la Fondazione Marini San Pancrazio nel 1988 (anche se la donazione risale al 1980). In questi giorni le decisioni assunte da entrambi i consigli di amministrazione hanno sollevato, giustamente, una levata di scudi da parte di buona parte della società pistoiese. Una mobilitazione che intorno a Marino forse non si registrava da tempo, con una eco che in città sembra superare addirittura quella suscitata dalla mostra presentata in occasione di Pistoia Capitale, se non fosse che proprio quest’ultima, forse, ha riacceso l’interesse dei pistoiesi per uno dei più noti concittadini. A Firenze, invece, un simile gran scompiglio non sembra proprio aver avuto luogo e dire che da quelle decisioni avrebbe dovuto avere i maggiori vantaggi. Almeno nella visione strategica di coloro che li hanno adottati.

La questione è quella di unificare in un unico museo (e quindi successivamente fondazione) quello che ora è diviso in due e per di più a una così breve distanza. Ovvero di portare tutto a Firenze a danno di Pistoia. Una questione annosa, anche per gli alterni rapporti che nel tempo hanno avuto le due istituzioni, oltre che complessa dal punto di vista legale che non si può risolvere con un approccio a dir poco coloniale.

Non è con una semplice addizione che si rifonda un museo che è un organismo delicato che con le proprie opere affonda e respira nel territorio e con il territorio. E da questo punto di vista il rapporto tra Firenze e Marino non è certo stato sempre dei più felici, basti ricordare la forte avversione che nel 1974 suscitò l’idea di mettere una sua scultura sul Ponte Vecchio o le lunghe vicende che riguardarono la ristrutturazione della Chiesa di San Pancrazio, sede, senza dubbio prestigiosa, del museo fiorentino. Per non dire poi che questo museo nel tempo non ha avuto una così forte propensione alla valorizzazione della figura e dell’opera dell’artista ma è stato piuttosto utilizzato come una grande scatola, un atteggiamento che si è acuito ancor di più negli ultimi tempi.

Certo anche Pistoia non sempre ha dimostrato una grande attenzione a questo suo illustre figlio pur dedicandogli una sede altrettanto prestigiosa come Palazzo del Tau, sede del museo e della fondazione. Per riavere un’iniziativa espositiva degna di nota su Marino dopo quella del 2001 ospitata nel piano nobile di Palazzo Fabroni, se ne celebrava il centenario, sono trascorsi più di quindici anni. Da qualche anno la situazione sembra aver cambiato passo, si sono riaffacciati importanti studiosi tra cui Flavio Fergonzi, e maggiori sono state le iniziative che la fondazione pistoiese ha promosso sia in città che all’estero. Infatti a Pistoia si trova il vero “tesoro” di Marini, e questo sta nell’attività scientifica che la fondazione ha offerto e potrà continuare a offrire, nei suoi archivi e nella sua biblioteca. Un patrimonio altrettanto importante rispetto a quello delle opere che ne sono chiaramente la faccia più visibile.

Non è da escludere che il vero nodo del contendere sia stato proprio questo, uno scontro che riguarda le leve della valorizzazione dell’artista, la volontà di assumere il ruolo di vera cabina di regia sulle iniziative che lo riguardano, con la conseguente ricaduta in termini promozionali per il museo stesso e il suo territorio. Anche perché un museo, tanto più se monografico, non è tale se non ha questo ruolo guida nella ricerca, in mancanza di tutto ciò appare soltanto come una ricca raccolta.

Certamente la questione di due musei monografici presenti in un così ristretto territorio è questione da affrontare ma in un modo meno maldestro di quanto non sia stato fatto in quest’occasione. Non dovrebbe essere né una lotta di potere né una concentrazione di patrimonio ma piuttosto l’occasione di saper cogliere una risorsa che non solo razionalizzi dal punto di vista gestionale, che rafforzi le attività di promozione intorno all’artista ma anche che dialoghi direttamente con il territorio per saper poi parlare anche all’esterno di esso. E in una tale prospettiva forse sarebbe Pistoia a dover dirigere il gioco di riordino e non solo perché Marino vi è nato. In questo anche favorita dal vincolo posto dalla soprintendenza per le opere del Palazzo del Tau. Anche per Pistoia non dovrebbe però trattarsi di una semplice rivendicazione, al pari di quella fatta a Ravenna dalla stessa città di Firenze per le spoglie di Dante (chiaramente non andata a buon fine), ma piuttosto approfittare del momento per mettere a punto un’idea di città, anche allargata e con vocazione metropolitana, in cui l’azione culturale e la memoria siano gli strumenti per guardare al futuro di una collettività. Forse proprio in questo modo si rispetta quanto Marino e Marina hanno generosamente voluto donare.

 

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Archiviato in:Cultura

Info Marco Bazzini

Marco Bazzini, storico e critico d’arte, vive in campagna.
Dal 2007 al 2013 è stato Direttore del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Ha curato mostre e cataloghi per spazi pubblici e privati in Italia e all’estero, sia di arte contemporanea sia di design. Ha collaborato con diverse testate di settore e fatto consulenze sull’arte contemporanea per diverse istituzioni private e pubbliche tra cui la Regione Toscana. Ha svolto un’intensa attività didattica presso accademie e università come insegnante in master e corsi di specializzazione.
Ha curato la mostra d’arte contemporanea del Padiglione Italia all’Expo Shanghai 2010 e presentato il progetto “Italian Genius Now” in numerose sedi museali internazionali tra cui: Seoul, Hanoi, Taipei, Tokyo, New Dehli, Roma, Porto Alegre.
Tra le altre mostra all’estero: “Art, Architecture, Utopie en Toscane 1966/1980”, MAMCO, Ginevra, 2003; “The Age of Metamorphosis: European Art Highlights from the Centro Pecci Collection”, MoCA, Shanghai, Shanghai, 2006.
Tra gli ultimi progetti curati si ricorda la mostra “Nel mezzo del Mezzo – Arte contemporanea nel Mediterraneo”, insieme a Christine Macel e Bartomeu Mari, presso il Museo Riso di Palermo e altre sedi cittadine. Inoltre la grande mostra antologica dedicata a Emilio Isgrò presso Palazzo Reale, Gallerie d’Italia e Casa del Manzoni a Milano.
Attualmente, è Presidente dell’Istituto Superiore Industrie Artistiche di Firenze (ISIA Design Firenze) ed è impegnato in progetti di sviluppo ed evoluzione sociale attraverso percorsi culturali.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Luigi Bardelli dice

    8 Dicembre 2019 alle 11:24

    Difficile non condividere Marco Bazzini. Vorrei sottolineare un aspetto. Firenze deve cominciare a riscoprire il suo indiscusso ruolo di capoluogo della Toscana. Ruolo che non sarebbe mai stato disconosciuto se Firenze avesse abbandonato quell’auto referenzialità tipica delle signore che sanno di essere belle ed ammirate.
    Fuor di metafora, poiché è davvero una delle più belle città del mondo (per me la più bella) deve capire che almeno in tempi di pace nei quali speriamo, sarà sempre più invasa da visitatori tanto che si troverà a discutere come contingentare gli afflussi turistici. Credo che v sia tempo che comincino a pensare, i fiorentini, in termini di area metropolitana, come mi pare accenni Bazzini. Così si potrà organizzare magari una gestione comune dei due musei, considerando un risorsa il fatto che siano collocati in aree prossime. In termini generali tuttavia, occorre ripensare semmai alla mobilità dell’area metropolitana. Da tempo mi sforzavo di proporre soluzioni più moderne oltre la vecchia ferrovia ed îl raddoppio della A11. Speriamo che le soluzioni scelte portino frutto e che torni ad essere più rapido il viaggio Pistoia-Firenze che Firenze-Roma.

    Rispondi

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