C’erano due tedeschi, un francese, una irlandese e un italiano.
Non è l’inizio di una barzelletta, sono spiacente, si tratta bensì della creazione di una “famiglia Erasmus”.
Quella famiglia europea abitava fino a pochi giorni fa al terzo piano di Na Vaclavce 16, nel 5° distretto di Praga, ed era composta da Isa e Jonas (i tedeschi, studiosi e scherzosi), Malo (il francese ambientalista e “formaggista”), Chloe (la “prof.” irlandese) ed il sottoscritto, lo “chef” italiano.
Beh, se vogliamo dire la verità, può essere anche considerata una barzelletta, dato che il cosiddetto “chef italiano”, alla prima cena internazionale con i nuovi coinquilini, ha bruciato le lasagne al ragù, lasciando puntualmente tutti a dieta. Ma questa è un’altra storia.
Stavo dicendo, cosa porterà cinque giovani provenienti da mezza Europa a condividere un appartamento per cinque mesi nella fredda e suggestiva capitale della Repubblica Ceca?
Quella cosa risale al 1987 ed ha un nome e un cognome: Erasmus, dal nome di Erasmo da Rotterdam, lo scrittore olandese il cui girovagare in lungo e in largo le terre europee ispirò la psicologa italiana Maria Sofia Corradi (ecco il cognome) e gli altri eurocrati nella elaborazione di un progetto di mobilità europea per gli studenti universitari dei Paesi membri.
L’Erasmus dà infatti la possibilità a uno studente europeo di effettuare in una università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla propria università: ai corsi ed esami che dovresti effettuare nella tua università ne sostituisci altrettanti offerti da una università all’estero (nel mio caso, la Charles University di Praga).
Che siano 6 mesi o un anno intero, l’Unione Europea finanzia tale scambio accademico esentando gli studenti dal pagamento delle tasse universitarie estere e concedendo a ciascuno una borsa di studio mensile.
Ma perché ho deciso di parlarvi della mia esperienza Erasmus?
La ragione risiede nella mia forte convinzione che in questi tempi bui per il sogno dei Padri Costituenti Europei (vedasi la recente ufficializzazione della Brexit o la penosa discussione tra i politici italiani riguardante il Meccanismo Europeo di Stabilità) è proprio da successi concreti come la mobilità europea che bisogna ripartire.
Mi spiego meglio, il progetto federalista culminante nell’eventuale creazione degli Stati Uniti d’Europa (o più semplicemente in un miglior funzionamento delle istituzioni europee) deve sì passare da vari step integrativi politico-economici, quali l’unione bancaria, l’unione fiscale, l’elezione diretta del Presidente e l’armonizzazione delle politiche di difesa e sicurezza tra tutti i 27 Paesi Membri.
Eppure, nonostante tali evoluzioni siano significative ed auspicabili, non basteranno. C’è bisogno di un qualcosa di più.
A tal proposito, mi vengono in mente le parole di Massimo D’Azeglio a seguito dell’unificazione del Regno d’Italia: “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”.
Questa citazione calza a pennello con l’attuale situazione dell’Unione Europea.
Zoppicante, incerta, burocratizzata e vessata dai “monsoni sovranisti”, essa ha un solo modo per spiccare nuovamente il volo. E consiste nel mettere le ali ai propri cittadini, tentando cioè di sviluppare una cittadinanza europea del futuro.
E’ stata fatta l’Unione Europea, baluardo di pace, prosperità e collaborazione nel Vecchio Continente, adesso è il momento di “fare” gli Europei.
Un volo tanto grande richiede una progettazione a tutto campo e di ampio respiro, di cui il progetto Erasmus deve rivestire, secondo me, un ruolo da protagonista assoluto.
Cercherò di motivare tale centralità attingendo nuovamente alla mia esperienza personale.
Sono anni ormai che studio l’Unione Europea, in quanto laureando in International Affairs all’Università di Bologna nonché recentemente partecipante al Future Leaders Europe dell’Istituto per la Politica Europea di Praga.
È già passato anche un anno da quando ho deciso di impegnarmi attivamente per l’Unione Europea: insieme ad altri ragazzi ho fondato YES Young European Society, un’associazione giovanile europeista che si pone l’obiettivo di avvicinare, appassionare le nuove generazioni alle istituzioni europee e, più genericamente, alla cittadinanza attiva.
Tuttavia, è stato soprattutto grazie all’esperienza Erasmus che ho capito quanto l’Unione Europea abbia migliorato la vita di noi cittadini. Non in un iper-uranio astratto, ma nella vita reale di tutti i giorni!
Viaggiare liberamente nei Paesi stranieri, studiare per un periodo in un’altra facoltà all’estero, conoscere nuove metodologie di apprendimento e aggregazione, conoscere (più semplicemente) lingue, culture, cucine e soprattutto persone diverse sono solo alcuni dei benefici del processo integrativo europeo.
O ancora più concretamente, avere la possibilità, grazie al roaming europeo, di chiamare al cellulare o navigare in internet alla stessa tariffa italiana, nonché, grazie alla tessera fiscale europea, ricevere cure mediche gratuite in un Paese straniero.
Insomma, per apprezzare l’Unione Europea è necessario viverla più che studiarla, conoscerla di persona più che nei Trattati!
È questo, a mio modesto parere, l’approccio più efficiente per avviare un processo dal basso di appropriazione della cittadinanza europea.
Da quest’anno, con la nuova Commissione targata Ursula Von der Leyen, prenderà piede la Conferenza sul Futuro dell’Europa, discussa dal Consiglio europeo nella riunione del 12-13 dicembre e che dovrebbe partire già a febbraio.
All’interno di questo processo democratico di dialogo e elaborazione sulle potenzialità di sviluppo delle istituzioni comunitarie, mi batterò con convinzione e radicalità per la seguente proposta.
Istituire l’obbligatorietà entro il 2030 del programma Erasmus per tutti gli studenti universitari europei. Il percorso risulterà impervio, non c’è dubbio: ancor prima che un obbligo, l’Erasmus deve diventare un diritto per tutti, non solo per gli studenti più abbienti. Ad oggi, ahimè, è così.
Tuttavia sono convinto che il futuro dell’Unione Europea passi da proposte concrete e radicali come queste.
Erasmus per tutti, senza se e senza ma. Un primo battito di ali per permettere alla cittadinanza europea di spiccare il volo.
Lascia un commento