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Solo Riformisti

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La forza delle donne iraniane

Nell’afflato originale dell’Islam c’è l’eguaglianza fra gli esseri umani. Invece in molte situazioni le gerarchie religiose e statali hanno usato i testi islamici per imporre comportamenti e  restrizioni legali che negano l’eguaglianza.

6 Gennaio 2023 da Fiamma Nirenstein 1 commento

I due grandi fenomeni storici che hanno fatto delle donne iraniane e afghane le eroine della libertà del nostro tempo sono sulle prime pagine e in assoluta evidenza in questo 2022 nella mente e nel cuore della nostra civiltà. Che giovani e anziane donne si espongano alla prigionia, e alla violenza fino alla morte per cambiare la loro condizione prendendo la testa della richiesta di cambiamento del regime, è una novità assoluta. Ieri, Vida Movahed conosciuta nel mondo per una foto del 2017 che la ritraeva col suo velo bianco usato a bandiera è stata arrestata, di nuovo in prigione per la terza terribile volta. In Afghanistan il fronte da ieri si allarga dalle mille proibizione fra cui quella alle ragazze di frequentare le scuole superiori, al bando delle donne delle ONG che soccorrono famiglie, donne e bambini (19 milioni di bisognosi, di cui 10 milioni di bambini). É magnifico che da parte della parte più oppressa, più disarmata, più in pericolo del mondo islamico si sollevi un grido tanto preciso: libertà e democrazia. Occorre ripeterlo: dalla parte più oppressa del mondo islamico. É questa indicazione geopolitica e sociale chiarissima, questa mappa religiosa l’indizio che deve guidare ogni sostegno alle donne in lotta, altrimenti non si fa nulla; è questo che manca nei commenti che sui giornali e sui teleschermi. Le donne in lotta offrono la loro vita in cambio dei quel bene che dalla fine della seconda guerra mondiale è diventato un dovere principale per la nostra civiltà, quella della libertà nel rispetto dei diritti umani di ognuno:ma loro, vanno oltre.

La loro lotta affronta una stratificazione che comincia nel 600 d.C. . Ma noi questo lo ignoriamo, siamo noi in piazza, e invece per noi è molto più facile. É nel grande mondo islamico che agisce il pugno di ferro dell’abbigliamento, del ruolo, della presenza sociale delle donne, della negazione della cultura: questa suscitando una grande rivoluzione, un moto di liberazione che può cambiare il mondo. Certo, si sa, la condizione della donna è problematica in tutto il mondo:ma non facciamo confusione, i grandi storici del Medio Oriente non la fanno. Bernard Lewis si doleva alquanto del fatto che il mondo dell’Islam sacrificasse la condizione femminile a dei principi di sottomissione a una visione gerarchica, diceva che l’Islam sprecava la sua migliore risorsa per battere l’ignoranza e la miseria. La figura maschile di fatto si è in varie realtà trasformata da patriarcale in brutale e violenta e le prime vittime ne sono le donne. Vogliamo aiutare? Allora si deve leggere senza paura il Global Gender Act del World Economic Forum del 2021: i 15 paesi che si comportano peggio al mondo verso le donne sono musulmani, e così otto dei dieci paesi più pericolosi per la loro vita. Attenzione: ci sono grandi differenze fra un fra un Paese e l’altro, lo sforzo che recentemente uno dei paesi tradizionalmente più oppressivi sta facendo, l’Arabia Saudita, i cambiamenti della Tunisia, del Marocco, della Giordania, degli Emirati… Vorremmo avere lo spazio per esaminare situazione per situazione, e le troveremmo diverse, spesso incoraggianti e lodevoli. Ma in generale nell’afflato originale dell’Islam c’è l’eguaglianza fra gli esseri umani, c’è un riconoscimento nel diritto alla proprietà e all’eredità e della legalità del matrimonio dell’esistenza della donna in quanto soggetto storico, principio che nelle altre religioni monoteiste poi è stato declinato verso un’eguaglianza reale (più o meno realizzata, si capisce); invece in molte situazioni le gerarchie religiose e statali hanno usato i testi islamici per imporre comportamenti, discriminazione, regole di abbigliamento, restrizioni legali che negano l’eguaglianza. Questo avviene quando si fa della donna un oggetto degli interessi patriarcali, in cui il concetto centrale è che gli uomini sono superiori alle donne, anzi, valgono il doppio, come la loro testimonianza nei processi, e anche questo è scritto nei testi. Il concetto che vale è quello di una Sura in cui gli uomini vengono definiti “protettori e responsabili” perché “sono superiori”. Da qui, si libera una consequenziale dura, prepotente certezza della bontà del dominio maschile, che molti studiosi e molte donne islamici non condividono affatto, ma con cui hanno a che fare, per esempio in Iran e in Afghanistan, fino alle leggi che condannano alla segregazione, al carcere o a morte per crimini morali inesistenti per la nostra società. Il nostro mondo per altro è spesso accusato, anche da vari movimenti di donne musulmane, di essere imperialista, etnocentrico, e soprattutto islamofobico. Un aggettivo molto impositivo, che proibisce il ragionamento e la critica dialettica: se l’Islam deve essere criticato, proprio come il Cristianesimo o l’Ebraismo, non c’è motivo di sospendere la discussione. Se per esempio costringe le donne alla schiavitù, o quando dei suoi appartenenti, sognano di sottomettere il mondo, non è islamofobia criticarlo. Così è per l’oppressione che soffrono e contro cui si ribellano le donne iraniane e afghane. Vogliamo aiutarle: prima di tutto parliamo di loro. Sappiamo anche che il dilemma per le donne islamiche non deve essere sottovalutato. Anche quelle che vogliono restare buone musulmane, non chiedono certo di essere oppresse. Noi sosteniamo certo la loro battaglia, ma la maggioranza nelle piazze deve potere togliersi il velo se e quando lo desidera.

(questo articolo, già pubblicato dal Giornale, è ripreso con il consenso dell’autrice)

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Commenti

  1. Elisabetta Briano dice

    8 Gennaio 2023 alle 12:59

    Un aiuto sensato alla loro lotta sarebbe che il mondo progressista ne assumesse il senso. Non aiuta infatti che mentre le ragazze irraniane tolgono il velo rischiando la vita, qui in occidente ci battiamo perchè le musulmane possano tenerlo ed anzi affidiamo la rappresentanza politica dell’islam di seconda e terza generazione proprio a donne velate. Non c’entra qui il discorso sulla ‘libertà di velo’ quando questo assume una valenza simbolica e politica come stanno dimostrando le iraniane.

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