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Solo Riformisti

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Grillini dentro?

Un po’ per necessità e un po’ per convinzione i Dem continuano a rincorrere i grillini. Non hanno il coraggio di abbandonare il “campo largo” perché di fatto dovrebbero ammettere che aveva ragione Renzi.

17 Luglio 2022 da Giancarlo Magni 1 commento

Diciamo la verità. Può dispiacere a molti ma gran parte della responsabilità per l’impasse a cui è giunta la politica italiana è del PD.
Non è una responsabilità diretta, nel senso che il Partito Democratico si è fatto portatore di proposte demagogiche e irricevibili, ma è una responsabilità indiretta, nel senso che il PD ha offerto, o ha dato l’impressione di offrire, che in politica è la stessa cosa, una forte sponda al populismo dei 5Stelle.
Le ragioni di questo atteggiamento del partito di Letta sono sostanzialmente due: la prima è che, numeri alla mano, senza i voti grillini e in presenza di un centrodestra unito, nei collegi uninominali non ci sarebbe praticamente gara,la seconda è che buon parte del Partito Democratico condivide le ragioni di fondo del populismo grillino, l’ansia cioè di risolvere subito e in via breve le tante storture e ingiustizie di una società moderna.
È sulla base di queste considerazioni che i grillini si sono fatti persuasi, come direbbe Montalbano, che il PD non avrebbe mai messo in discussione l’asse con loro.
Probabilmente oggi il quadro sarebbe diverso se i Dem, a fronte delle mosse grilline, avessero subito detto che così facendo si sarebbero interrotti i rapporti, anche futuri.
Alla base delle due ragioni evidenziate circa l’atteggiamento remissivo nei confronti del M5S c’è poi, come minimo comune denominatore, il vero carico da 90 per comprendere la politica del PD verso i Cinquestelle: non si vuole tornare, sia pure di fatto, alla linea politica che fu di Renzi.
Nel marzo del 2018, a fronte del successo grillino, 32,7%, e dello scarso risultato dei Democratici, 18,7%, il partito si convinse che la ragione della debacle era da ricercarsi nella politica riformista e liberal-democratica che Renzi stava cercando di portare avanti. Da qui nacquero le segreterie Martina e Zingaretti che, sia pure senza particolari successi, cercarono di invertire la rotta. Letta avrebbe dovuto portare avanti il tentativo con il suo “campo largo”, un modo di conciliare capre e cavoli tenendo insieme la vecchia, innata pulsione del “nessun nemico a sinistra” con la nuova esigenza di rappresentare anche le istanze più genuinamente riformiste. Dopo quattro anni da quella svolta e sulla base degli ultimi avvenimenti si può ora tranquillamente affermare che il tentativo è miseramente fallito: l’esigenza di dar vita ad uno schieramento potenzialmente vincente non può prescindere dalla chiarezza della linea politica. Anzi oggi il PD si ritrova in una condizione peggiore di quella di quattro anni fa perché è privo di una strategia potenzialmente vincente. Ed è questa la ragione di fondo per la quale la classe dirigente del partito, in larga parte, cerca ancora di recuperare i grillini.
Unica alternativa infatti è quella di tornare a Renzi, non come persona ma come politica, costruendo un nuovo rapporto con il centro, anzi favorendo la nascita di un polo riformista di centro che possa poi dialogare con il PD che, a quel punto, potrebbe anche permettersi il lusso di rappresentare alcune istanze sociali più a sinistra. In una democrazia moderna il centro è l’area politica dove si concentra il maggior numero di elettori potenziali ed è quindi la naturale cassa di espansione di un partito che voglia crescere. Tra l’altro tutti gli studi sui voti e i flussi elettorali dimostrano che il PD ha nelle città e nelle zone medio-alte il suo maggior numero di elettori.
Per fare però un’operazione del genere ci vuole coraggio, determinazione e capacità di guardare in faccia la realtà per quello che è e non per quello che si vorrebbe che fosse.
In sintesi ci troviamo ancora una volta di fronte allo scontro fra radicalismo e riformismo, uno scontro che ha caratterizzato fin dalle origini la storia della sinistra, non solo italiana. L’esperienza dimostra che alla lunga è sempre stato il riformismo a prevalere anche perché il riformismo più che un’ideologia è un metodo che cerca di adeguare le idee di giustizia e libertà alle condizioni della società in quel dato momento storico, facendo fare alla stessa tutti quei passi avanti che sono possibili.
A dimostrazione dell’assunto valga anche un’altra considerazione basata proprio sull’esperienza di questi ultimi quattro anni. Nel 2018 i grillini hanno debuttato con la democrazia diretta, l’abolizione della casta e la sconfitta della povertà. i Dem gli sono sostanzialmente andati dietro. E oggi nel 2022 la Meloni si appresta a vincere le elezioni.

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Info Giancarlo Magni

Giancarlo Magni, giornalista professionista, ha seguito per anni, a Roma, la vita politico-parlamentare. Ha lavorato nella carta stampata, nelle radio e nelle TV. In RAI è’ stato vice-caporedattore del TGR della Toscana. Dal 2012 al 2017 è stato Vice-Presidente del Comitato Regionale per le Comunicazioni della Regione Toscana. Fa parte del Comitato Direttivo della Fondazione "F. Turati", una Onlus che gestisce Centri di Riabilitazione, Rsa e Centri per disabili. E' Presidente dell'ETS Raggio Verde che assiste minori e adulti affetti da autismo.

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Fsusto ferrara dice

    17 Luglio 2022 alle 22:18

    Più che convinto m, si torna sempre lì tra radicalismo d riformismo
    Con in mezzo il trasformismo di chi per ragioni di posti è con Renzi e contro Renzi indifferentemente
    Lavandosi l’anima dicendo che è stato lui a sbagliare . la domanda che faccio è perché il lingotto se parte non ci credeva?

    Rispondi

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