Perché applaudiamo alla finestra durante un lockdown? A chi ci rivolgiamo quando celebriamo il funerale di un ghiacciaio? Come nasce una nuova “madonna” in un contesto bellico? Ne ha scritto l’antropologo Giovanni Gugg nel suo ultimo libro, “Crisi e riti della contemporaneità. Antropologia ed emergenze sanitarie, belliche e climatiche”. Pubblicato dalle Edizioni Museo Pasqualino di Palermo, specializzate nella letteratura antropologica, il testo è diviso in tre parti, corrispondenti alle gravi crisi globali che hanno segnato questi ultimi anni: la pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina e la mutazione climatica in corso. Il libro raccoglie e rielabora vari saggi che l’autore ha pubblicato a partire dal 2020 per il bimestrale “Dialoghi Mediterranei”, i quali indagano le risposte sociali alle crisi: il focus, infatti, è su quelli che Gugg chiama “riti in emergenza”, ossia delle pratiche collettive che le popolazioni mettono in atto in caso di traumi e angosce, al fine di riassorbire lo shock e, allo stesso tempo, di tenere insieme la collettività. Quei riti hanno la forma di gesti irrazionali, che spesso sembrano addirittura superstiziosi, eppure, osservandoli da una prospettiva culturale, emerge la loro logica, perché sono strategie con cui si tenta di resistere alla pressione, di farsi forza e, in buona sostanza, di proteggersi. Si tratta di pratiche collettive che hanno risposto e rispondono a molteplici bisogni individuali e sociali, come l’elaborazione dello choc, l’individuazione delle responsabilità, la condivisione delle esperienze, il ripristino dell’ordine, la ricerca di senso.
Come in altri suoi studi precedenti, Gugg è corso nel territorio della “catastrofe” accaduta e ha misurato il polso di chi si è trovato in mezzo al turbamento, ovvero ciascuno di noi in molti casi. Nel capitolo “Pandemia”, l’autore analizza i “riti in emergenza” durante il confinamento del 2020, dai cinesi che si davano appuntamento sui social per affacciarsi alle finestre e gridare “Wuhan, resisti!” agli italiani che sui balconi cantavano “Abbracciami più forte”. Nel testo ci sono decine di esempi, tra quelli “a distanza” e sostanzialmente utili a mantenere un qualche legame tra le persone a quelli “abusivi” e potenzialmente a rischio di ulteriori contagi.
Un meccanismo simbolico simile, cioè altamente funzionale alla tenuta psicologica individuale e collettiva, è individuabile nella seconda parte, dedicata alla “Guerra”, in particolare in alcune leggende metropolitane emerse in Ucraina nelle prime settimane dell’invasione russa, nel 2022. È il caso, ad esempio, del “fantasma di Kiev”, che è diventato un incoraggiamento per il morale dei resistenti ucraini o della “Madonna di Kiev”, un’immagine divenuta oggetto di culto tra i profughi ucraini a Napoli, ma che in origine non era altro che la fotografia di una mamma intenta ad allattare la sua neonata nei sotterranei della metropolitana della capitale ucraina durante i bombardamenti dell’esercito di Putin.
Infine, la terza sezione è consacrata al “Clima”, in cui Gugg scruta le processioni per la crisi idrica e riti per la pioggia nell’estate 2022 in Pianura Padana, che ci riportano al “Ramo d’oro” di Frazer, il testo fondamentale dei riti e dei miti dell’umanità. Oppure i cosiddetti “funerali dei ghiacciai”, che sono sia riti in emergenza che di contenimento, cioè una serie di processioni laiche sotto forma di passeggiate o concerti inscenati per contestare o semplicemente prendere atto della triste fine della presenza dei giganti del gelo.
Giovanni Gugg osserva questi riti contemporanei come “finestre critiche” sulla società o, come anche scrive, “barometri della vulnerabilità”, ossia forme di presenza, partecipazione e condivisione di esperienze in cui si prova ad affrontare il senso di impotenza e di confusione.
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