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Solo Riformisti

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Nuovi strumenti per la Fase 2

Di fronte a questa imminente crisi economica appare insufficiente anche la riproposizione delle tradizionali politiche di tipo keynesiano. Alla prova dei fatti il neoliberismo ha dimostrato di non funzionare.

24 Aprile 2020 da Ugo Ronchi Lascia un commento

La fase 2 è la fase della ripresa dell’attività economica e degli scambi, la ripresa della circolazione di uomini e merci.

L’idea è quella che il sistema debba ripartire da dove si è fermato.

L’epidemia sarebbe una parentesi in sostanza.

Le perdite accumulatesi in questo periodo di forzata inattività andranno immunizzate con una forte immissione di liquidità; di qui le soluzioni adottate dall’ Eurogruppo su cui tanti, più informati di me, dibattono.

Che sia condivisa o meno, la tendenza è quella di riprendere la solita musica sul solito spartito.

La questione in questi termini sembra ridursi a questo: sostenere le imprese in crisi, garantire l’occupazione, fare ripartire la fiducia ed i consumi.

L’approccio è lo stesso di dopo la crisi finanziaria del 2008 ora su scala più planetaria.

La sua attuazione è forse alla nostra portata al di là degli inevitabili errori che saranno commessi quando si tratta di distribuire in poco tempo una montagna di soldi.

Rifiuto l’idea di concetti vaghi e retorici del tipo che serva un nuovo piano Marshall: ammesso che ci si renda conto di cosa fu davvero il piano Marshall faccio rilevare che alla fine della Seconda guerra mondiale l’Europa era distrutta: fabbriche, case, infrastrutture, beni.

Il covid oltre ad uccidere molte migliaia di persone ha piuttosto distrutto le nostre false sicurezze di avere le cose sotto controllo.

Un esempio per tutti: la tanto (troppo) decantata intelligenza artificiale non ha indotto nessun decisore ad agire in tempo (eppure non serviva un gran genio a capire che un virus dalla Cina sarebbe arrivato in occidente su un 777 e non con le carovane come ai tempi di Marco Polo).

Ma ridotta in questi termini la questione, sarebbe l’occasione mancata per ripensare al tipo di sviluppo che dall’esaurimento del ciclo espansivo cominciato dopo la Seconda guerra mondiale e dopo l’esaurimento della spinta propulsiva della socialdemocrazia ci ha fatto approdare nell’attuale periodo neo liberista.

Questo periodo è stato contrassegnato da un eccesso di potere dei mercati finanziari, nonché da un eccesso di concorrenza dei sistemi fiscali che ha portato dapprima ad un epocale spostamento di risorse verso l’Oriente e poi a contraccolpi pesanti sull’occupazione fino ai recenti squilibri come la guerra dei dazi.

È un dato di fatto che il neoliberismo non sarà in grado di risolvere i problemi lasciati della pandemia come non fu in grado di risollevare l’occidente dalla crisi dei mercati finanziari.

Gli Stati allora salvarono l’economia distribuendo le perdite delle banche sui risparmiatori e la BCE di Draghi salvò l’euro malgrado il mal di pancia dell’ortodossia tedesca.

Siamo alla seconda prova, col Covid, di tenuta del sistema economico.

Abbiamo visto come solo i sistemi sanitari statali (non quelli privati) più efficienti e capaci di garantire estesi livelli di assistenza e una legislazione emergenziale statale draconiana ha potuto (si spera) ad oggi arginare il contagio.

Specularmente  si crede che solo le immissioni di liquidità dei vari strumenti che gli Stati dell ‘UE metteranno in campo, dal MES, al SURE e ai Recovery Bond  laddove Cina e  Usa possono contare su banche centrali disposte ad immettere liquidità illimitatamente, potranno salvare l’economia dalla recessione.

Il che significa proteggere i sistemi aumentando la liquidità e alleggerendo la politica fiscale di rigore stampando più moneta.

In sfregio al monetarismo classico e alla tesi del liberalismo economico più spinto (tesi che ha folgorato sulla via di Damasco ben più di pochi economisti di sinistra col risultato che la sinistra italiana oggi più o meno assomiglia al partito democratico di Biden).

Col risultato però che un paese come il nostro, benché ricco (se guardato a livello del patrimonio posseduto dai singoli) sarà estremamente indebitato nei decenni a venire al punto che perderemo ancora di più pezzi di autonomia e forse anche un giorno l’indipendenza (inutile nasconderci il fatto che i debiti alla fine ti strangolano).

E allora mi chiedo perché tornare al neoliberismo se alla prova dei fatti non funziona?

Se alla prova di tutto abbiamo dovuto socializzare le perdite delle banche, prima, e quelle delle imprese adesso?

Pensiamo che i finanziamenti a fondo perduto o i prestiti garantiti dallo Stato (cioè mutui che saranno in larga parte rimborsati dallo Stato alla fine) risolveranno le cose?

Di fronte a questa imminente crisi economica appare anche insufficiente la riproposizione delle tradizionali politiche di tipo keynesiano che galleggiano nella sfera distributiva senza toccare la sostanza dei rapporti di produzione, ossia i rapporti di proprietà.

Non servirà molto uno ‘ sblocca cantieri ‘ se non a fare felice la Confindustria.

Vogliamo continuare a ignorare che il capitale non è una “cosa”, un dato “naturale” al di là del tempo e dello spazio, un semplice accumulo di merci e di strumenti finanziari e tanto meno un algoritmo bensì un rapporto sociale in continua mutazione ma storicamente determinato, che si instaura tra chi vende le proprie abilità fisiche e intellettuali in cambio dei mezzi per vivere e chi le compra per ottenere un profitto?

Diciamolo pure: in questo sistema neo liberista il lavoro è stato strapazzato: la rendita di posizione (intesa nella accezione più ampia dalla proprietà all’incarico politico) è diventata la forma più ambita per guadagnarsi da vivere: molto più ambita del lavoro di per sé sempre più scarso, sempre più faticoso da ottenere, spesso rischioso e anche sempre meno pagato.

Il lavoro all’epoca del neo liberismo è stato relegato a questo ruolo di sfruttamento.

E perché, provoco adesso, non tornare alla socialdemocrazia?

 

 

 

 

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