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Manifestation du mouvement des gilets jaunes, à proximité du centre commercial Leclerc, à Belfort, le 17 novembre 2018.

Gilets Jaunes, un segnale di crisi

Il movimento francese ennesimo indizio delle difficoltà della democrazia rappresentativa. Problemi sempre più complessi impongono l’adozione di nuove forme di partecipazione

5 Marzo 2019 da Dario Pizzuto Lascia un commento

Il primo week end di marzo “Che tempo che fa”mandava in onda l’intervista a Macron, e allo stesso tempo i gilets jaunes scendevano in piazza per il 16esimo sabato di fila. Se le cifre diffuse dalle prefetture francesi parlano di una diminuzione delle partecipazioni, non si puònon sottolineare come questo strano movimento continui ancora oggi ad esistere.

Argomento principale su tutti i media francesi per settimane, oggetto di innumerevoli discussioni, il movimento dei Gilets Jaunes éstato, e continua ad essere, una grande novitànel panorama politico europeo a due mesi dalle prossime elezioni. Se i numeri non sono quelli delle prime manifestazioni, il fronte dei contenuti, se cosi possiamo chiamarlo, è andato via via modificandosi con il passare del tempo.

Nato da un banale video su internet, in segno di protesta alle politiche « antiautomobili » del governo francese –aumento progressivo delle tasse sui carburanti alla pompa ma anche limiti di velocitàpiùbassi –il movimento dei Gilets Jaunes éstato subito un raccoglitore di tutte le ingiustizie, percepite o reali, che frammentano la societàfrancese. L’eterno cittàvs campagne, tra contesti urbani privilegiati e rurali disagiati, i cartelli « basta tasse » con allo stesso tempo la richiesta di piùservizio pubblico, la critica forte alla politica fiscale del governo Macron –Philippe e alla  mancanza di rappresentatività–sacrificata sull’altare del maggioritario – del Parlamento o delle istituzioni. Nei primi giorni della protesta, visto l’ampio fronte di richieste, la forte adesione della popolazione è stata innegabile. Bastava osservare l’elevato numero di gilets jaunes ben esposti sui cruscotti in segno di adesione o sostegno al movimento. In fondo chiunque aveva un motivo valido per aderire o una protesta in cui riconoscersi. Nonostante le ragioni del movimento non fossero particolarmente innovative, c’era una sostanziale differenza rispetto alle classiche manifestazioni francesi. Nessuna organizzazione sindacale, nessun partito, ne erano alla manovra o all’origine. La potenza di facebook, ha fatto invece si che tantissima gente, senza lo sforzo della militanza, abbia potuto darsi appuntamento e ottenere, d’un tratto, un forte potere sull’agenda politica. Ritrovandosi sulle rotonde o bloccando gli svincoli dei principali assi viari, dei cittadini qualsiasi, moltissimi alla prima partecipazione politica, unendosi, son riusciti a bloccare un paese e a mettere in seria difficoltàl’esecutivo. Da qui, da questa constatazione, è nata per alcuni la voglia di continuare e perseverare nelle manifestazioni, spostando piano piano l’obiettivo sull’unico capro espiatorio possibile nella V Repubblica Francese : il Presidente della Repubblica, Macron. Perno intoccabile delle istituzioni, protetto spesso da una solida maggioranza parlamentare, il Presidente francese è una specie di monarca quasi inattaccabile. La stessa sorte sarebbe potuta capitare ad altri, ma Macron, eletto grazie a una campagna elettorale svoltasi in un contesto particolare[1], enfant prodige per studi e carriera, autore di sfortunati commenti pubblici accusabili di elitismo, era ed è il perfetto bersaglio per la narrazione populista dei Gilets Jaunes .

Grazie anche alla costruzione di una nuova identitàvisiva, quel gilet sempre in mostra, il movimento deve quindi il suo successo non tanto ai suoi vaghi contenuti, ma alla sua forma che diventa sostanza con una grande forza politica. Il carattere  spontaneo, l’assenza di qualsiasi corps intermediaire e la rete social, sono stati sicuramente, difficile negarlo, una forte innovazione nel dibattito politico francese. Innovazione che ha spinto il potere esecutivo, incapace di aprire dei tavoli di trattativa con un movimento senza rappresentante e conscio del problema esploso sulle strade, a trovare in qualche modo una decina di miliardi di €da dedicare all’aumento dei salari minimi. Dagli 80 euro di Renzi ai circa cento di Macron, una risposta semplice al problema della redistribuzione.

Se la risposta d’urgenza è stata l’aumento del salario minimo, la risposta piùdi fondo éstata una bella trovata per Macron : l’organizzazione di un Grand Débat, spalmato su varie settimane, tra eletti e elettori, per ritrovare le fila di un qualsiasi contratto sociale, in un contesto di elevata frammentazione politica. Cercare di uscire alla crisi dando a tutti la possibilitàdi esprimersi, e agli eletti di ascoltare. Riportare il dibattito sui contenuti ha cosi dato modo al Presidente Macron di uscire dall’angolo e di riporsi come argine a un disordine che cominciava a spaventare la maggior parte dei cittadini francesi. Si, perchéil movimento popolare e  populista dei primi episodi, ha via via sempre piùlasciato la scena a numerose bande di facinorosi, professionisti o meno dei disordini urbani. Il movimento, con il passare del tempo, ha dato l’impressione di mutare sempre piùla sua essenza. Da contenitore di tutte le rivolte alle ingiustizie, a contenitore di qualsiasi tipo di collera, di qualsiasi tipo di pulsione radicale.

Tutte le incoerenze iniziali dei Gilets Jaunes sono mano a mano venute a galla e hanno lasciato spazio alla rappresentazione pubblica di qualsiasi tipo di frustrazione. Complottismo, razzismo e antisemitismo hanno quindi trovato il loro spazio. Sentimenti ben presenti nelle altre formazioni populiste europee sono apparsi sempre piùcentrali all’interno dei Gilets Jaunes. Dal sentimento di ingiustizia, anche se spesso piùpercepita che reale, alla collera che sconfina nell’odio dell’altro, si chiami Macron o Finkelrault, il passo è stato breve. Un movimento senza guida, senza stella polare, che ha lasciato la scena a fomentatori di dubbia rilevanza che hanno solo contribuito a aizzare la folla verso un capro espiatorio. Dal camionista star di Facebook che si lascia arrestare dalla polizia, fino al semi sconosciuto M. Chalençon, personaggio eversivo portato alla ribalta dai talenti italiani a 5 stelle, il dibattito si è sempre piùradicalizzato spaventando cosi quella parte popolare che aveva preso gusto a partecipare come mai fatto prima.

La violenza di piazza è quindi diventata un perno centrale di molte manifestazioni, trovandosi di fronte la violenza di una polizia che non è piùriuscita  a trovare le soluzioni adeguate al controllo di manifestazioni non dichiarate. Le violenze hanno quindi spostato il dibattito in un angolo sterile in cui si esalta un popolo immaginario che affronta un potere autoritario, rappresentato dalla polizia.

Le prossime elezioni europee arrivano rapidamente e se, come sembra, una lista gilets jaunes porterànelle urne le contraddizioni del Movimento, saràl’occasione per misurare l’impatto sulla vita democratica francese. Ad oggi, a campagna appena iniziata, un flop appare piùprobabile rispetto alla affermazione importante immaginabile qualche settimana fa.

Il movimento ha comunque riportato sulla scena la voglia di democrazia diretta, rispetto a una democrazia rappresentativa che appare stanca, o comunque lontana, in un esercizio del potere sempre piùcomplesso e difficile da decriptare. Il dibattito politico sta oggi affrontando il tema dell’introduzione dello strumento referendario propositivo, oggi assente dal quadro istituzionale francese, facendo emergere per fortuna tutti i limiti delle consultazioni popolari. Tutto ciò in un quadro politico che vede piano piano arrivare il vero problema democratico che aspetta molti territori francesi, ovvero la mancanza di moltissimi candidati alle prossime elezioni municipali del 2020. Il problema geografico francese rischia quindi di ritornare sulla scena. La Francia resta geograficamente il piùgrande Paese d’Europa  con una scarsa densitàabitativa, ma con al tempo stesso piùdi 30mila comuni che sono oggi l’avamposto della vita democratica del Paese. E le difficoltàoggi di essere « eletti », di dover amministrare in tempi in cui è sempre piùfacile delegittimare che mandare avanti le opere collettive, rischia di essere il nuovo problema da affrontare per la nostra cara vecchia democrazia.

[1]Macron ha raccolto il 23 % di preferenze al primo turno mentre i due partiti estremi sull’arco politico, FN e FI, hanno raccolto insieme circa il 40 % dei voti ; il candidato della destra Fillon, predestinato alla Presidenza, non é invece riuscito ad accedere al secondo turno a causa di vari scandali venuti fuori durante la campagna elettorale.

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Info Dario Pizzuto

Dario Pizzuto, siciliano, europeo, vive in Francia da 7 anni. Spinto da una grande curiosità, si sforza sempre di capire come gira il mondo e ama la bella politica. Con la scusa di una laurea in relazioni internazionali, si appassiona di politica energetica e cerca di approfondire il tema con due master dedicati all'energia, in Italia e in Francia. Ha l'opportunità di lavorare con gli attori del settore, occupandosi in particolare di apertura e liberalizzazione dei mercati di gas e elettricità. Da un anno vive in Normandia, crocevia della nostra Europa, a due passi dalle spiagge del D-Day e della cattedrale di Gugliemo il Conquistatore, e si dedica alle politiche volte a portare la fibra e la banda larga in un contesto rurale.

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